Capitolari. Le norme adottate sotto il periodo carolingio sono definite capitolari in quanto non erano mai comandi singoli bensì norme più o meno lunghe e non sempre omogenee fatte di brevi capitoli. In questo modo scompaiono le parole edictum, decretum, decretio, praeceptio che venivano dall’antichità romana. Essi comunque come gli editti si considerano emanati dalla volontà del re. Dopo Carlo i capitularia cominciarono a specializzarsi in: capitularia ecclesiastica (provvedimenti relativi al clero), mundana (del mondo laico),misso rum (istruzioni per i missii dominici), legibus addita (per modificare le leggi ancestrali).

Capitularia ecclesiastica. Essi riflettono uno dei temi più importanti del periodo: quello del rapporto tra Chiesa e regno. Ve ne furono molti: quindi i sovrani avevano molto a cuore l’idea di assicurare alla Chiesa una vita ordinata. La Chiesa poi era in una profonda fase di decadenza: la gerarchia andava in pezzi, clero ignorante, corruzione. I Carolingi si erano accorti dei problemi e la Chiesa accoglieva le interferenze spesso chiedendole anche dentro i concili. Queste leggi quindi erano importanti per riparare usurpazioni, iniquità ed erano il miglior mezzo per attuare i desideri dei sinodi regionali. Con la progressiva perdita di potere della dinastia tuttavia, il potere fu acquistato dall’aristocrazia che riuscì a impedire l’emanazione di questi capitolari (episodio storico quello della dieta di Compiègne del 823). Quindi la dieta comincia a non esser più il luogo di ratifica delle decisioni del re, bensì il luogo in cui si discutono tali norme: i capitolari si “feudalizzano” come i centri del potere.

Fenomeno delle falsificazioni. Questo fenomeno dilagò misteriosamente in oscuri ambienti ecclesiastici francesi: ciò gettò sul mercato un numero di capitolari più o meno alterati. Sicuramente la più riuscita e importante fu quella delle Decretali Pseudo- Isidoriane. Il nome di Isidoro compare nella prefazione: egli si definisce peccator e mercator e rivolge al lettore la sua ansia per la verità e dicendo che 80 vescovi lo hanno sollecitato ala compilazione. La falsificazione va intesa nel senso di un’abile mosaico di pezzi carpiti da tradizioni ecclesiastiche e laiche per lo più ritoccati e definiti di nuova paternità. La ratio della raccolta è desumibile dalla sua insistenza sul tema dell’autonomia dei vescovi e della loro pari dignità. La falsificazione va contro la feudalizzazione della chiesa transalpina: un mondo ecclesiastico ch si stava gerarchizzando dal primate ai semplici frati. Tuttavia a parte ciò lo Pseudo- Isidoro con la Donazione di Costantino consegna anche ai posteri un contributo straordinario per le mire gregoriane di affrancare la Chiesa dall’Impero. L’obiettivo era quindi riportare la chiesa alla purezza dello stato di grazia originario.

Leggi popolari. Esse non vennero trascurate dal monarca e anzi alcuni cronisti dicono che egli ne curò le redazioni: viene quindi prepotentemente fuori il fatto che l’età carolingia abbia voluto riattivare il vecchio circuito bipolare composto dallo ius vetus (le tradizioni popolari) e lo ius novum (i capitolari). Gli annali di Lorsch raccontano proprio di queste grandi assemblee di ecclesiastici e laici: davanti a quest’ultimi cioè duchi, conti veniva affrontato il problema delle leggi popolari e Carlo le faceva legger pubblicamente emendandole e mettendole per scritto per assicurare giustizia a ricchi e poveri. Carlo poi sicuramente curò le revisioni della Lex Salica emendata (che modificava un testo curato da suo padre Pipino) e la Karolina.

Capitularia legibus addenda. Essi si configurano come la forza di attrazione nella sfera legislativa del sovrano anche delle antiche leggi popolari, sottolineando l’unità dei quell’ordinamento generale dell’Impero in parte decentrato ma sempre controllato alla fine da un potere centrale. E’ bene sottolineare che per questi non si volle alcun consenso popolare. Era però un’epoca difficile per uniformare il diritto a quello salico in quanto vi erano una moltitudine di diritti e uniformarli sotto quello salico appariva difficile. Davanti a ciò il rimedio che propone Agobardo vescovo di Lione che il sovrano imponga a tutti la legge franca appare illusorio e ingenuo. Si vengono allora a inserire negli strumenti notarili le professionnes iuris: un contratto veniva stipulato sulla base di una certa legge che le parti sceglievano per la loro natio cioè la nascita che li aveva radicati in un certo gruppo etnico. Si entra nell’epoca della personalità della legge allora, non più universalità: entriamo nel medioevo. Ciò in Italia non si era trovato sotto i Longobardi in quanto fu male interpretato il cap 91 del de scribis di Liutprando, sostenendo che egli dicesse che le parti contraenti potevano scegliere la legge da rispettare, mentre l’interpretazione giusta era che le parti potevano rinunciare ai loro diritti soggettivi a patto di non ledere la controparte.

Capitolare italicum. Esso è un capitolarium legibus addenda con cui Carlo cercò di dare una patina salica all’ord longobardo radicato in Italia. In esso si distinguono le materie in cui si sarebbe usata la personalità del diritto e le materie in cui si sarebbe usata la legge comune aggiunta da Carlo negli editti. La raccolta fu usata forse fino all’anno 1000.

Nei due secoli della dominazione longobarda le fonti giustinianee originali subirono duri colpi. I testi giustinianei dovevano esser diventati praticamente irreperibili e l’ultima effettiva applicazione del Digesto è databile nel 603 a soli 50 anni dalla Pragmatica sanctio promulgato per l’Italia. Riguardo invece al codice, probabilmente esso era stato scorciato mettendo in circolazione un Epitome Codicis da cui furono estromessi gli ultimi 3 libri. Questa epitome però appare come un fantasma. Riguardo alle novelle l’Authenticum ancora comparve a Rotari ma poi scomparve, mentre rimase in vita l’Epitome Iuliani molto cara alla Chiesa

Rilancio delle fonti giustinianee originali. Il clima della renovatio Imperii a Roma generò una fervente compilazione in ambito ecclesiale di antologie di testi in forma originale in un clima di restaurazione dell’antico. La più importante è la Lex Romana canonice compta il cui autore ignoto (forse Mor monaco del monastero di Bobbio) utilizzò molto l’Epitome Iuliani, poco il codice e le istituzioni. Una parte dei capitoli di quest’opera ricomparve anni dopo nella collezione canonica Collectio Anselmo dedicata dedicata ad Anselmo vescovo di Milano nell’883. Quei capitoli compaiono in mezzo a decretali e canoni. Il Fournier ha sostenuto che queste due opere avessero una fonte comune e quindi un’ipotesi possibile è che nell’epoca della rinnovazione dell’impero si sia forse fatta una grande antologia di diritt romano sotto il titolo di Lex Romana. Ciò sarebbe confermato anche da un aneddoto in cui Carlo dice a un messo che gli chiedeva notizie su certe tasse di consultare la legge romana.

Summa Perusina. Esso è un testo del Codice incompleto e trasformato che comparve per qualche tempo nell’Italia centrale. Si sa che i giudici del territorio romani tra il 999 e il 1014 lo applicarono al posto delle costituzioni genuine del codice. La rozzezza delle trasformazioni ci danno comunque un dato interessante: la sostituzione di scriptum al posto di stipulatio che fa pensare che l’antica forma obbligatoria romana si fosse tramutata in un contratto scritto.

Il quadro europeo giuridico appare allora diviso in 2 tronconi: in Italia ancora Giustiniano, nelle regioni transalpine diritto teodosiano anche perchè la Chiesa ha continuato a usare la lex romana wisigothorum.Tuttavia il breviario di Alarico sarebbe comunque giunto in Italia (ma non composto in Italia) sottoforma di un testo chiamato però Lex romana Raetica Curiensis. Anche in Italia meridionale dettami di diritto visigotico sarebbe giunto mediante la Collezione Gaudenziana, il cui contenuto a parte attribuito a Giustiniano che però si sarebbe avvalso in base all’inscriptio di sacerdoti e vescovi romani imitando l’assenso di sacerdoti/vescovi celebrato da Alarico II per comporre il suo breviario. La seconda parte di quest’opera raccoglie 159 capitoli della legge visigotica, la prima parte è romana.

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