Per quanto invece riguarda il cesaropapismo, esso ha costituito il  fondamento della dottrina della Chiesa, che ha sfidato due secoli. Il Papa l’ha riformulato sia nel trattato De anathematis vinculo, sia in una famosissima lettera scritta l’imperatore: lettera che è stata generalmente scelta come la testimonianza principe del suo pensiero.

Nel 494 sul trono di Costantinopoli sedeva Anastasio. Secondo la moda dominante nella corte bizantina, le questioni teologiche erano di casa; al momento era in voga l’eresia eutichiana condannata dal concilio di Calcedonia per via delle aperture alle idee monofiste: pericolose idee che, assegnando a Cristo la sola natura divina, gli negavano l’umanità. Erano tempi questi in cui le manie teologiche dei sovrani sconfinavano spesso nel cesaropapismo.

Di fronte al cesarismo bizantino, il Papa si decise ad ammonire  Anastasio. La sua lettera è tesa a impetrare il ravvedimento del monarca e il suo aiuto per ristabilire l’unità della Chiesa nel segno cattolico romano. L’introduzione è molto umile, seguita poi da toni più forti, dove il Papa avverte: il mondo è retto da due dignità somme, l’una chiamata da Cristo a guidare le anime, l’altra a governare i negozi temporali; nel secolo è il sacerdote a seguire le leggi dell’imperatore, ma nelle cose della religione e l’imperatore a dover obbedire al sacerdote.

Gelasio qualificò auctoritas il potere del pontefice e potestas quello dei sovrani temporali. I due termini del linguaggio giuridico dei romani indicavano: il primo una fonte carismatica di legittimità; il secondo legittimava e rendeva efficaci atti e negozi.

A parte le leggi imperiali che furono destinate alla Chiesa in quanto istituzione pubblica essa, in quel tempo, godeva di un’autonomia che si esprimeva dalle origini nei concili: ma i concili erano sempre stati convocati più per combattere eresia che per disciplinare strutture e attività, e avevano quindi prodotto più dogmi che norme giuridiche.

L’affermazione del pontefice romano dipendeva dal riconoscimento del primato del vicario di Pietro, sicché, essendo quel primato contestato in oriente, la potestà normativa universale del Papa finì con l’essere rifiutata. Le sue norme, pertanto, non furono colte ed ebbero vigore solo in Occidente, con il risultato che si creò una fondamentale frattura nell’ordinamento della Chiesa universale e questa finì per spezzarsi nei due tronconi di Costantinopoli e di Roma.

Il potere normativo del pontefice si esprimeva in lettere in cui comparvero sempre più spesso decisioni di fattispecie concrete, che divennero la controfigura canonica dei rescritti imperiali, chiamate dapprima decreta, poi decretales.

Importante da questo punto di vista appaiono i canoni degli apostoli, redatti in Siria tra il IV  e il V sec, che comprendevano regole conciliari soprattutto sul culto, sull’ordinazione sacerdotale, sulla vita dei vescovi e dei chierici.

A Roma tra il IV  e il V sec vi fu una vera esplosione di iniziative compilatorie. La più importante è la collezione Dionisiana, il cui autore è rinvenuto nel Monaco Dionigi, che si definì il piccolo in segno di umiltà; questi era giunto a Roma all’indomani della morte Gelasio. Era assai dotto, e all’inizio del VI secolo ebbe tra le mani una versione latina di canoni orientali che lo disgustò per il disordine, decidendo così di compilare una migliore. La vecchia collezione scorretta venne così rapidamente sostituita dalla nuova, che incontrò una grande fortuna tale da diventare il codice ufficioso della Chiesa di Roma nel 774, che venne ricevuto da Carlo magno, ricevendo il nome di collezione Dionysio-Hadriana.

Nella mente e nelle ambizioni di Papa Adriano la raccolta normativa consegnata a Carlo Magno avrebbe dovuto probabilmente costituire uno strumento unificante dell’ordinamento canonico in Europa. La collezione Dionysio-Hadriana aveva però da tempo una concorrente temibile oltr’Alpe, dalla prima metà del VII secolo, in quanto circolava la cosiddetta collezione Hispana o Isidoriana, il cui primo nome derivava dal luogo di nascita, mentre il secondo da una congettura degli storici fondata sulle forti somiglianze tra la sua prefazione a quella delle etimologie di Isidoro di Siviglia.

Oltre la prima redazione in ordine cronologico se ne predisposero altre in ordine sistematico. A misurare il suo successo si ricorda come nel IX sec bene più volte falsificata.

Il materiale di tale componimento è in gran parte identico a quello della Dionisiana, al quale però si aggiungono i canoni di recenti concili gallici e iberici, molto importanti in quanto affrontarono e rivelarono i problemi dell’organizzazione ecclesiastica contemporanea, e inoltre perché si interessarono più alle questioni giuridiche concrete che non a quelle teologiche.

Importante fu la conversione dei Visigoti ariani al cattolicesimo, i quali seguirono l’esempio del re Recaredo nel 587. Tale avvenimento venne celebrato due anni più tardi, nel 589 tramite il concilio di Toledo.

Lascia un commento