I giudici ordinari della città, d’altra parte, potevano pur sempre venir investiti di una controversia mercantile o artigiana ma erano in tal caso tenuti a far rispettare gli statuti corporativi.
Il che facilitò la diffusione dei nuovi istituti al di là del loro ambito originario, in ambienti e tra soggetti diversi da quelli appartenenti ai mestieri ed alle professioni che li avevano visti nascere.
La continuità rispetto al diritto antico è stata sostenuta da molti, ma le corporazioni (collegio) del tardo impero romano, strettamente subordinate alla burocrazia statale, presentavano profili ben lontani da quelli propri delle arti dell’età comunale.
Ad un’origine germanica ha invece fatto pensare, tra l’altro, il termine stesso di «gilda» con il quale la corporazione era spesso designata.
In alcune città delle Fiandre, della Germania e della Francia settentrionale sia testimoniata la precoce esistenza di un’associazione tra mercanti, la Gilda, che addirittura ha preceduto il comune, tra la fine dell’XI e gli inizi del XII secolo. Più tardi, in ogni città si costituì una pluralità di corporazioni artigiane, commerciali e professionali.
Una gerarchia di fatto si instaurò ovunque tra le corporazioni cittadine, e nell’Italia del secondo Duecento essa fu di non di rado esplicitata distinguendo tra «arti maggiori» ed «arti minori», dotate di prerogative differenziate nel governo della città e nell’esercizio della stessa giurisdizione interna.