La continuità è innegabile nel regno visigotico, e non soltanto nei riguardi della popolazione latina governata dai giudici provinciali, ma anche con riferimento alla struttura di governo e di giustizia per i goti, composta di giudici locali, di conti e di duchi, distinta dalla prima sino alla riforma di Reccesvindo della metà del VII

Più problematico è il rapporto tra il comes civitatis della Gallia del V secolo e il comes testimoniato dalle fonti dei regno dei Franchi nella prima età merovingia

Il radicamento del conte nella civitas corrisponde alla situazione tardo – antica, mentre il legame personale che congiungeva al conte i suoi seguaci e al re i conti stessi appare modellato sulla struttura tradizionale della Gefolgschaft germanica.

Un ruolo nella trasmissione di modelli amministrativi spettò certamente alla Chiesa del regno franco. Il graf, una figura di ufficiale regio dapprima assai inferiore di rango rispetto al conte, si venne in tale arco di tempo equiparando ad esso.

Il dux assunse non di rado, nel corso dell’età merovingia, la posizione di signore indipendente, di fatto, dal re e dal potere monarchico.

I Longobardi ripartirono il territorio assoggettandolo a una trentina di duchi, insediatisi nei punti strategici e soprattutto nelle città.

Attorno al duca troviamo le famiglie e i gruppi familiari (fare) a lui vicini, inoltre ufficiali minori per il governo del territorio (sculdasci, decani), ed anche ufficiali direttamente dipendenti dal re (gastaldi). Si tratta di una struttura militare che ha assunto il controllo di uno spazio vastissimo e che si è, perciò, territorializzata. Non vi è una sistematica corrispondenza tra le circoscrizioni giudiziario – amministrative dei ducati longobardi e quelle dei municipi romani.

Sarebbe errato ritenere soltanto longobarde e «di stirpe» le nuove strutture.

Le ricerche hanno rivelato come non pochi tratti dell’organizzazione militare dei Longobardi fossero di derivazione bizantina: lo stesso Editto di Rotari presenta, nel gruppo iniziale di capitoli, sorprendenti analogie con testi di diritto militare romano.

Dunque, la reazione precoce di istituti tardo-antichi poté intervenire, senza contraddice i caratteri fondamentali, su una struttura resa salda soprattutto dai legami intrafamiliari ed interfamiliari.

Uno degli elementi più significativi per valutare la consistenza del potere regio è dato dalla disciplina degli appelli.

Presso i Visigotila distinzione leovigildiana tra corruzione e ignoranza del giudice è di probabile ascendenza romana, ma non lo sono il giuramento purgatorio imposto al giudice accusato di ignoranza né la sanzione della perdita della libertà contro il giudice corrotto. Il fatto che il re nella sua veste di giudice superiore venga menzionato in modo specifico significa atteggiamento di relativo disimpegno della monarchia sul terreno giudiziario.

Ma più tardi, nel secolo VII, il ricorso al re fu espressamente prospettato da Chindasvindo e da Ervigi, in connessione con i compiti di controllo sulla giustizia affidati ai vescovi, secondo moduli che si richiamano al diritto giustinianeo ma che soprattutto riflettono l’incidenza della Chiesa nel governo civile della Spagna visigotica.

Presso i Franchi la redazione primitiva della Legge salica ammetteva il reclamo contro la pronuncia giudiziaria dei rachimburgi (cioè i giudici non professionali scelti tra i notabili del luogo, che tradizionalmente amministrino la giustizia presso i Franchi); ma non faceva ancora alcun riferimento a giudici superiori. Alla fine del VI secolo Chilperico riconobbe la possibilità di ricorrere al re per ottenere l’esecuzione di una sentenza. Il passo ulteriore e decisivo fu però compiuto solo un secolo e mezzo più tardi, allorché un capitolare di Pipino del 750-755 sancì espressamente il diritto di appello al re non solo per denegata giustizia, ma anche avverso una sentenza ingiusta. Il re diveniva così giudice d’appello.

Presso i Longobardi, subentrò nel 721, con Liutprando. un’espressa e articolata disciplina dei ricorsi al re, che per la prima volta distinse tra violazioni del diritto scritto e decisioni ingiuste ma relative a fattispecie legali estranee agli editti, con sanzioni differenziate nei due casi.

Più tardi, nell’età feudale, l’incidenza del potere regio tornerà a regredire.

Forse è vano chiedersi fino a che punto queste forme di ricorso al re si siano ispirate agli appelli tardo – antichi, dal momento che le dissomiglianze sono tanto evidenti.

Diversa è anzitutto la dinamica fondamentale del processo:

di fronte a una pretesa o a un’accusa è per lo più il convenuto e non l’attore a dover dare la prova della propria non colpevolezza. Se è errato considerare sempre e comunque spettante al convenuto l’onere della prova il contrasto con la regola romana non è perciò meno reale.

Diversi sono i mezzi di prova.

  1. Œ E’ normale che al convenuto venga richiesta la prestazione del giuramento purgatorio con la cooperazione di altri soggetti, variabili nel numero e di diversa estrazione;
  2.  è poi praticata l’ordalia, il giudizio di Dio;
  3. Ž l’ordalia bilaterale, il duello, in cui è Dio a determinare la vittoria;
  4.  La prova testimoniale è presente già nella Legge salica, mentre presso i Visigoti, anche in ciò ispiratisi al modello romano, spetta al giudice la valutazione sulla attendibilità dei testimoni contrastanti tra loro. Presso altri popoli, invece, soltanto più tardi la testimonianza acquistò vero rilievo. Per l’ammissibilità dei testimoni talune legislazioni, come la carolingia, prescrissero anche determinate condizioni di censo, inibendo la testimonianza a chi non fosse proprietario di terre. I testi erano per lo più obbligati a testimoniare e dovevano poi confermare la loro dichiarazione col giuramento. Spesso la testimonianza verteva non soltanto sul fatto, ma sulla questione di diritto che formava l’oggetto della controversia. Il contrasto tra testimoni fu risolto da Ludovico il Pio mediante il ricorso al duello giudiziario.
  5.  Quanto alla prova scritta, non impugnabili erano soltanto i diplomi della cancelleria regia e, presso i Longobardi, i documenti giudiziari. Il documento privato poteva invece venir contestato in giudizio: in tal caso esso era difendibile con il giuramento dei testimoni ovvero con la testimonianza giurata dello scriptor del documento . Quest’ultima procedura, prevista dalla legge dei Franchi Ripuari, poteva condurre anche al duello e alla verifica della scrittura in caso di contestazione. In Italia il diritto longobardo prevedeva invece il giuramento della parte in causa, cioè di chi avesse prodotto il documento in giudizio ovvero del suo avversario.

Proprio riguardo al documento scritto, l’intreccio tra continuità e innovazione si rivela con tratti assai caratteristici.

Per l’Italia vi sono del territorio di Piacenza che ancora nel secolo VIII contengo- la menzione della mancipatio, abolita da Giustiniano due secoli prima ma evidentemente mantenutasi nella prassi documentaria. Ciò significa che gli scrittori degli atti tramandarono i formulari tardo – antichi anche nell’età longobarda.

In Francia, verso la metà del secolo VII il formulario di Marcolfo testimonia anch’esso la trasmissione di moduli giuridici antichi sia romani che germanici, all’età franca. Ma vi si può cogliere altresì la penetrazione di pratiche e di principi diversi, per esempio là dove si difende, con argomenti dettati dal senso della giustizia e dall’affetto, la parità di trattamento tra figli maschi e femmine .nella successione al padre, in voluto contrasto con una consuetudine, dichiarata «empia», che sacrificava le figlie togliendo loro il diritto di ereditare la terra.

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