Gli esiti istituzionali di questa lotta furono diversi. In alcuni comuni – come Milano, Bologna, Verona – il regime podestarile rimase in vita, ma nacque una diarchia tra il comune del podestà e il comune del popolo, con divisione delle rispettive competenze.

In altri comuni, la forza del «popolo» fu tale da condurre ad una muova struttura costituzionale in cui le corporazioni assunsero formalmente la guida della città: Firenze offre l’esempio di un comune in cui il «popolo» delle arti riuscì ad imporre il nuovo regime.

Gli Ordinamenti di giustizia del 1292-93 esclusero i magnati da ogni carica istituendo appunto il governo dei priori. Analoghi sviluppi si verificarono in città come Perugia.

A Venezia, l’aristocrazia cittadina riuscì nel corso del Duecento a consolidare definitivamente la propria supremazia politica sino a riservarsi il monopolio delle cariche pubbliche,  attraverso un complesso sistema di magistrature che impediva l’egemonia di una o più famiglie, ma anche l’avvento al potere delle corporazioni, saldamente controllate dal governo della Serenissima.

Il governo del «popolo» e delle arti – terza fase della storia costituzionale dei comuni italiani – non fu neppur esso duraturo, nelle variegate articolazioni locali che lo caratterizzavano.

L’esercizio del potere politico da parte delle corporazioni  non potevano evitare che i conflitti di interesse tra gli strati superiori e gli strati inferiori del «popolo» stesso emergessero di continuo.

Soprattutto, le tensioni erano generate dal fatto che il potere veniva direttamente gestito dai gruppi sociali, organizzati militarmente e pronti a sancire in via legislativa la propria effimera supremazia, ad esempio decretando l’espulsione dalla città delle famiglie nemiche, la confisca dei loro beni immobili, la distruzione o la devastazione delle loro case e delle loro terre.

Tutto ciò provocava una cronica instabilità anche istituzionale. L’esigenza di ordinamenti più stabili finì per imporsi, aprendo la via a forme di governo meno legate al prevalere di una fazione, ma ormai dipendenti in modo diretto dalla volontà politica di un singolo: le signorie.

In alcune città dell’Italia padana il regime signorile si impose già nella seconda metà del Duecento.

A Verona, Mastino della Scala fu chiamato a ricoprire le cariche di podestà e di capitano del popolo

A Ferrara prevalsero gli Estensi,

A Milano la famiglia dei Torriani monopolizzò per un ventennio la carica di «anziano del popolo» per cedere nel 1277 il potere in città alla fazione opposta dei Visconti.

Nei primi decenni del Trecento moltissime città si erano ormai date a un signore, od erano comunque cadute sotto il suo dominio.

La transizione al regime signorile avvenne mantenendo in un primo tempo in vita le istituzioni preesistenti: l’uomo forte della città era generalmente nominato a una carica pubblica per tempi più lunghi di quelli previsti dalle leggi, sino ad ottenere un mandato a vita.

Tutte le magistrature erano di fatto gestite da lui, attraverso il controllo dei consigli e degli altri organi collegiali cittadini, i cui membri erano (o diventavano) uomini del signore.

La legittimazione dal basso veniva rafforzata, ove possibile, con una legittimazione dall’alto consistente nel titolo di vicario imperiale o apostolico concesso al signore, rispettivamente, dall’imperatore tedesco o dal pontefice romano. In tal modo il fondamento del potere signorie poteva anche prescindere dall’elezione popolare.

Alle magistrature tradizionali si aggiunsero organi collegiali nuovi di nomina signorile diretta, che spesso esautorarono i vecchi consigli.

In talune città italiane la crisi delle istituzioni comunali ebbe uno svolgimento differente nei tempi e nei modi.

Ma col tempo l’esigenza di un più stabile ordine interno divenne anche qui così forte da condurre alla creazione di magistrature almeno in parte svincolate dalle consorterie e dai gruppi di interesse organizzati che esistevano all’interno delle città.

A Firenze, dopo che nel Trecento periodi di governo signorile si erano alternati con periodi di reviviscenza della costituzione comunale, Cosimo dei Medici assunse per un trentennio, nel Quattrocento, l’egemonia sulla città senza ancora formalmente mutare il sistema delle magistrature. Alla fine, l’ordinamento signorile si affermò stabilmente.

Venezia riuscì ad evitare che l’aristocrazia cittadina venisse esautorata: la chiusura del Maggior Consiglio, realizzata in due fasi nel 1297 e nel 1323, sancì per i secoli a venire lo stabilimento di una oligarchia dotata dell’esclusivo diritto all’esercizio delle cariche pubbliche.

La crisi finale delle istituzioni comunali ebbe perciò quasi ovunque sbocchi istituzionali di segno autoritario: il vertice del potere perdette il suo carattere elettivo per divenire vitalizio e, più tardi, ereditario.

Le democrazie cittadine non avevano retto, alla lunga, agli elementi di disgregazione presenti al loro interno.

La vicenda costituzionale dei comuni, conduceva verso esiti molto lontani dalle premesse: una chiusura oligarchica, un potere personale accentrato, una serie di corposi privilegi di ceto, una struttura protostatuale di dimensioni regio- nali, un diverso rapporto col contado.

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