Fu la chiesa a far cadere l’impero longobardo. Il crollo cominciò quando i longobardi decisero di prendere l’ultima enclave bizantina in Italia: Ravenna, che occupò. Ciò venne deciso dal grande legislatore e principe Liutprando. Appariva chiaro però che la spedizione non poteva fermarsi ai confini del ducato di Roma e sarebbe andata avanti fino ad essa. Tuttavia Liutprando appariva come un principe cristiano e non sembrava aver alcun desiderio di prendere Roma: la restituzione del castrum di Sutri sembrò apparire conforme a ciò. La Chiesa continuò però a vederlo come una minaccia. Intanto a Costantinopoli si stava sviluppando l’iconoclastia: l’imperatore Leone III aveva cominciato la campagna contro questo fenomeno, emanando un decreto contro il culto delle immagini. In opposizione a ciò insorse il patriarca, che si dimise e fu costretto a fuggire; anche l’occidente allora in un sinodo romano condannò l’iconoclastia. L’imperatore si incazzò è colpì la Roma nelle sue prerogative e nella borsa (tasse maggiori da rendite ecclesiastiche nell’Italia bizantina, sottrazione di territori da chiesa a patriarca). Ciò portò all’assassinio a Ravenna dell’esarca Paolo (Bisanzio aveva riconquistato Ravenna): il monarca inviò allora in Italia un nuovo esarca con il compito di imporre l’iconoclastia riducendo Roma all’obbedienza anche eliminando il pontefice. Gregorio II papa, tuttavia, pronunciò parole distensive invocando fedeltà al monarca, come il successore. I longobardi intanto con il nuovo capo Astolfo riconquistarono Ravenna nel 751. La paura ora non era solo di Roma ma anche di Bisanzio: l’imperatore mandò un messo al papa Stefano II perchè questi si recasse da Astolfo per chiedergli di restituire Ravenna.
L’entrata in scena dei Franchi. Dato che non gli diede ascolto, il papa si rivolse ai Franchi. Il nuovo re franco era Pipino il breve: il papa lo incontrò nel 754 a Ponthion e il re prese l’impegno di riconquistare tutto l’esarcato restituendolo poi allo Stato bizantino. Il papa poi continuò il proprio soggiorno lì rafforzando il legame con i Franchi: impartì un’ingiunzione regia a Pipino, Carlo e Carlomanno. Furono unti come re e patrizi nella cerimonia di Saint Denis Ciò è comprensibile nel senso che il titolo di patritii romanorum in occidente designava gli esarchi e quindi si presume che Stefano volesse fare di Pipino e figli i nuovi esarchi. Tuttavia Pipino già era stato fatto re 3 anni prima: questa unctio quindi si spiega meglio forse nell’idea papale di elevare l’Esarcato a regno. Nacque nell’idea del papa di sostituire i Franchi, potenti e fedeli, ai bizantini incapaci sul piano militare e inaffidabili su quello religioso. Questo sentimento si dimostra nel fatto che il nuovo papa Paolo I invece che annunciare, come di prassi, la sua nomina all’esarcato, la annunciò a Pipino subito. Nello stesso anno Pipino cambiò radicalmente la precedente decisione e promise Esarcato, Venezia, Istria, Emilia, Tuscia e Corsica non all’impero ma alla Chiesa (Promissio Carisiaca). Questa promessa fu fatta a voce al Papa, che era lì presente e che chiaramente si prefigurava un dominio peculiare di S. Pietro. La donazione non fu mai completa, ma dopo la vittoria franca contro Astolfo e Bisanzio nel 756 i Franchi diedero a Roma Esarcato, Emilia e Pentapoli sottratte ai longobardi. Anni dopo quando il re era Carlo Magno, papa Adriano I si spinse a configurare la promissio carisiaca come istitutiva di un patriziato della Chiesa parallelo a quello conferito al re dei franchi (concetto di un doppio regno sullo stesso territorio). Infine Bisanzio: essa era sicuramente preoccupata e inviò una delegazione in Gallia a cui si aggiunse anche un ecclesiastico romano. Adriano giocava sull’ambiguità: da una parte di dichiarava fedele suddito dell’imperatore dando a questi il capo del partito filo longobardo a Roma perché il monarca potesse giudicarlo, ma dall’altra parte si definì titolare della giurisdizione sul territorio cominciando fra l’altro a coniare monete.
Constitutum Costantini (donazione di Costantino). Esso rappresenta il più celebre falso medievale che all’inizio del duecento servirà a corroborare le pretese ierocratiche della Chiesa. Esso fu introdotto nei Decretali pseudo-Isidoriane. Nel documento si avverte la forte atmosfera romana intravedendosi anche la Promissio Carisiaca alla quale la Chiesa nell’VIII secolo ancora credeva. Addirittura Adriano I per farsi dare i territori della promessa scrisse a Carlo Magno della possibilità di poter esser insignito del titolo di novello Costantino. Ad ogni modo il contenuto del Constitutum Costantini appariva molto più grande della Promissio carisiaca: comprendeva il Palazzo Lateranense, la città di Roma, genericamente le provincie d’Italia (ossia esarcato e pentapoli che la Chiesa non aveva restituito a Costantino V imperatore), tutte le regioni occidentali, la corona e le vesti imperiali al papa, diritto di creare consoli e patrizi, e infine che la capitale era a Costantinopoli perchè l’imperatore non voleva dare fastidio al papa a Roma. Il falsario non era però un visionario: alla base c’era il tentativo di legittimare il dominium peculiare Petri che la promissio aveva alimentato e che portava al tradimento dell’Impero.
L’incoronazione di Carlo Magno. Il papa Leone III, quando lo nominò imperatore nella notte di Natale dell’800, aveva senza dubbio il progetto di trasferirlo a Roma, profittando del fatto che il trono bizantino era considerato vacante perchè illegittimamente occupato dall’usurpatrice Irene. La decisione del papa di volere quindi ricreare un impero romano d’Occidente non venne li per li, ma era un’idea che balenava da tempo e ne aveva già discusso in concilio giorni prima: egli aveva subito accuse di adulterio e spergiuro l’anno prima e quell’atto così straordinario poteva apparire il modo per uscire da un periodo per lui di grandi umiliazioni. Il rito per l’incoronazione dell’imperatore in S.Pietro fu quello praticato da secoli in Oriente, in cui il papa si prostrava nella proscrinesi (infatti le fonti ecclesiastiche non ne parlano). Il biografo di Carlo disse che questi si sarebbe detto pentito di aver assunto il titolo imperiale, per Cortese forse perché gli diede fastidio esser consacrato dal Papa perchè ciò lo avrebbe messo nelle mani del papa. Tuttavia giudicando i successivi rapporti sembra che avvenne esattamente il contrario. Comunque sembra che Carlo si comportò da buon successore di Giustiniano: un placito tenuto da Carlo a Bologna fu verbalizzando chiamando l’imperatore Romanum gubernans Imperium, formula cara a Giustiniano che divenne l’intitolazione ufficiale di tutti i suoi placiti e scritti privati, servendosi di ciò anche dopo (almeno 4 anni dopo) la pax di Aquisgrana con cui Carlo restituiva a Bisanzio il titolo di imperatore dei romani. Per la Chiesa era probabilmente un successo: il trono era tornato a Roma e ciò era la renovatio di un favoloso mondo che rievocava antichità: Roma caput mundi.
Rapporti con Bisanzio. Per quietare questa situazione le diplomazie avanzarono l’idea di far sposare Carlo e l’usurpatrice Irene, la quale aveva anche mandato segnali distensivi. Ciò tuttavia non avvenne, Irene fu deposta e il successore Niceforo alternò buoni e cattivi rapporti con Carlo fino all’812 quando Carlo rinunciò appunto a favore di Bisanzio del titolo di imperatore romano ad Aquisgrana e gli emissari di Costantinopoli lo chiamarono Basileus (dei Franchi). Carlo di ciò probabilmente fu anche contento in quanto a una monarchia romana poco amata ne preferiva una barbarica più adatta a lui. Questo cambiamento generò il fatto che nell’813 il figlio Ludovico il Pio fu incoronato da Carlo e non dal papa, questo perchè l’intervento del papa non era necessario per creare un imperatore germanico e non romano. In punto di morte inoltre Carlo fece sostiuire sul simbolo la scritta Renovatio Imperii Romani con le parole Renovatio Regni Francorum.
La Chiesa dopo la pace di Aquisgrana. Essa continuò a pensare che dal 25 dicembre 800 l’Impero romano fosse stato trasferito definitivamente nelle mani di monarchi occidentali e non orientali. Riuscì a far accettare ciò a tutto l’occidente. La Chiesa poi considerava l’impero sacro perché c’era stata l’unctio con il sacro crisma e distingueva l’impero dagli altri regni perché era universale. C’era quindi la volontà (in opposizione a Gelasio) di ridurre a unità il multiforme universo romano, integrando il potere temporale e quello religioso.