La detenzione può essere definita come il potere di fatto sulla cosa di chi la tiene e la utilizza, riconoscendo però un diritto altrui. I comportamenti del possessore e del detentore sono identici, tranne che per il fatto che il detentore riconosce la sussistenza del diritto altrui. La distinzione tra i due concetti, quindi, sta nell’elemento soggettivo: animus possidendi e animus detenendi.

Ai fini della qualificazione di una situazione di fatto come possessoria o detentoria, al di là dello stato psicologico del soggetto, ha rilevanza il titolo in forza del quale avviene l’acquisizione, ovvero le modalità con cui si realizza.

La detenzione deve essere distinta in:

  • detenzione qualificata, se viene svolta nell’interesse proprio (es. conduttore).
  • detenzione non qualificata, se viene svolta nell’interesse altrui (es. mandatario).

 Perché dalla detenzione si passi al possesso occorre quella che impropriamente (vera e propria interversione art. 1164) viene definita interversione del possesso (art. 1141 co. 2). Tale interversione non può verificarsi per un semplice atto di volontà, ma occorre una modificazione nell’atteggiamento psicologico del detentore, ovvero:

  • l’opposizione del detentore, ovvero un atto esterno, rivolto al possessore, con cui si manifesta l’intenzione di utilizzare il possesso in nome proprio.
  • una causa proveniente da un terzo (es. disposizione testamentaria).

Individuare una situazione come detentoria o come possessoria risulta essere di fondamentale importanza, perché l’istituto dell’usucapione opera solo nel primo caso.

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