Una volta accettata l’eredità, l’erede può chiedere il riconoscimento della sua qualità contro chiunque possieda i beni ereditari a titolo di erede o senza titolo alcuno, allo scopo di ottenere la restituzione dei beni medesimi. Tale azione, che prende il nome di petizione di eredità (petitio ereditatis), è imprescrittibile, salvi gli effetti dell’usucapione rispetto ai singoli beni, e ha un carattere assoluto, autonomo, universale e reale, ovvero si esercita sulle cose, dando al titolare il diritto di inseguirle ovunque esse siano.
L’erede può agire anche contro gli aventi causa di chi possiede a titolo di erede (erede apparente) o senza titolo, rimanendo comunque salvi i diritti acquistati dai terzi, a titolo oneroso o in buona fede, dall’erede apparente (art. 534). Il possessore in buona fede, ovvero colui che ha acquistato il possesso dei beni ereditari, ritenendo per errore (non grave) di essere erede, ha diritto di pretendere dall’erede i frutti naturali e civili, il rimborso delle spese, i miglioramenti e le addizioni. Se tale possessore ha alienato una cosa dell’eredità, sempre in buona fede, è semplicemente obbligato a restituire all’erede il prezzo o il corrispettivo ricevuto (art. 535).
Il regime probatorio della petizione risulta particolare, perché chi agisce in giudizio deve semplicemente dimostrare la sua qualità di erede, senza dover dimostrare la proprietà dei beni in capo al de cuius.