Le finalità originarie della disciplina del danno biologico erano dirette a recuperare il valore costituzionale della salute nell’ambito delle tecniche di risarcimento del danno alla persona: dal momento che il diritto alla salute era una posizione soggettiva garantita a tutti, i criteri di liquidazione dei danni dovevano essere identici per tutti. Oltretutto al danno biologico, inteso come lesione psico-fisica della salute, si assegnava un compito semplificante, consistente nell’assorbire tutte le sottovoci di danno che le circostanze del caso avevano indotto i giudici a creare.
La giurisprudenza, tuttavia, afflitta da un’eterogeneità di casi, relativi non solo alla circolazione stradale o agli infortuni sul lavoro, ma anche ai rapporti coniugali e di parentela, ha finito per disperdersi in una massa di regole dettate dalle singole fattispecie. Invece di semplificarsi, quindi, le fonti di danno risarcibile si sono moltiplicate (es. danno estetico, danno alla vita di relazione, danno alla serenità della vita familiare, danno da mobbing, danno edonistico).
 Con il risarcimento del danno alla salute la portata applicativa dell’art. 2043 raggiunge il culmine. Inizialmente tale danno, essendo considerato soltanto in termini patrimoniali, viene calcolato unicamente sulla base del lavoro che il soggetto non riesce a svolgere. La giurisprudenza, tuttavia, si è lungamente interrogata sulla veridicità della convinzione che l’art. 2043 consideri solamente il danno patrimoniale.
La sentenza n. 184 del 1986, al contrario, sostiene che il diritto alla salute, essendo un diritto costituzionale, fa riferimento non solo ai danni patrimoniali (funzione risarcitoria), ma anche a quelli non patrimoniali (funzione satisfattoria). Con tale sentenza, quindi, si stabilisce che il danno alla salute, rappresentando un danno alle relazioni della persona, deve essere considerato in sé per sé, indipendentemente dal lavoro che il soggetto non riesce a svolgere. Tuttavia, se si fosse collocata la tutela della salute alla luce dell’art. 2059 (danni non patrimoniali), questo sarebbe stato dichiarato incostituzionale, perché si sarebbe venuta a creare una norma discriminatoria: a fronte di un diritto costituzionalmente riconosciuto (art. 32), alcuni soggetti sarebbero stati risarciti e altri no, a seconda che tale articolo avesse integrato o meno un’ipotesi di reato.
 La Corte costituzionale quindi, facendo riferimento alla sentenza n. 184 del 1986, ha salvato l’art. 2059 dicendo che il diritto alla salute deve essere tutelato ex art. 2043.
Col tempo le fattispecie di danno risarcibile si sono moltiplicate, e l’art. 2043 ha raggiunto il culmine della sua espansione rispetto al punto di partenza, dove, al contrario veniva riconosciuta tutela solo nei casi di lesione di un diritto soggettivo assoluto.
In forza della sentenza che ha salvato l’art. 2059, è venuto a crearsi un sistema tripartito, dove viene dato risarcimento:
- al danno patrimoniale ex art. 2043.
- al danno biologico ex art. 2043 e art. 32 Cost., che comprende:
- il danno esistenziale puro, che non presuppone una lesione della salute, ma consiste in un peggioramento della qualità della vita non dipendente da alterazioni psicofisiche (es. caso diossina: i soggetti, nonostante non siano malati, sono stati lesi perché devono sottoporsi a continui controlli presentivi).
- il danno esistenziale biologico, che consiste in una lesione dell’integrità psicofisica medicalmente accertabile.
- al danno morale soggettivo ex. 2059 (pecunia doloris).