Articolo 155 (provvedimenti riguardo ai figli):

  • il figlio ha diritto di mantenere un rapporto equo e continuativo con entrambi i genitori e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti.
  • il giudice deve adottare i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa, seguendo tali principi:
    • prioritariamente valuta la possibilità che i figli possano essere affidati ad entrambi i genitori.
    • qualora questo non sia possibile stabilisce a quale dei genitori devono essere affidati.
    • determina i tempi e le modalità con cui la prole deve risiedere presso ogni genitore.
    • prende atto degli accordi intervenuti tra i genitori.

Sotto il profilo degli effetti personali della separazione i coniugi godono di una certa autonomia che però, per quanto ampia, è comunque sottoposta al vaglio del giudice.

  • la potestà genitoriale spetta ad entrambi i genitori e le decisioni di maggiore importanza sono assunte di comune accordo da entrambi.
  • ciascun genitore provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, attraverso la corresponsione di un assegno periodico, che il giudice determina sulla base di alcuni canoni descritti dal legislatore e che adegua agli indici ISTAT.

Per prendere i provvedimenti disciplinati dall’art. 155 il giudice, come dispone l’articolo 155 sexies, può assumere mezzi di prova e ascoltare il figlio minore, che deve avere almeno dodici anni o essere comunque capace di discernere. Il giudice ha inoltre il potere di rinviare la propria decisione, consentendo ai coniugi, anche coadiuvati da esperti, di trovare autonomamente un accordo. In ogni tempo i genitori hanno diritto di domandare la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento, l’esercizio della potestà e le modalità di contribuzione (art. 155 ter).

 L’articolo 155, tuttavia, non è stato redatto in maniera particolarmente felice, in quanto il secondo e il quarto comma sembrano far riferimento agli stessi accordi che hanno ad oggetto le modalità di mantenimento della prole. A tale proposito, mentre l’articolo 148 sostiene che i coniugi devono provvedere al mantenimento dei figli in maniera proporzionale alle proprie sostanza, il quarto comma dell’articolo 155 sembra consentire una deroga a tale principio di proporzionalità, comportando un ulteriore problema. Tale principio, infatti, è contestato dalla dottrina, che accetta la possibilità che uno dei due coniugi non voglia prestare al figlio proporzionalmente al proprio reddito, quanto piuttosto in una cifra maggiore: non è quindi possibile sostenere in maniera assoluta l’inderogabilità del criterio di proporzionalità del reddito. Tale disposizione è così problematica anche perché in sede di ultima revisione il legislatore ha amputato una parte della norma: al termine provvede seguiva l’avverbio direttamente (co. 4), che impediva ai coniugi di derogare al mantenimento diretto, ovvero alla conseguenza naturale dell’affidamento condiviso.

 Articolo 155 bis (affidamento esclusivo):

  • il giudice può disporre l’affidamento ad uno solo dei coniugi qualora lo ritenga più consono all’interesse della prole.
  • ciascuno dei genitori può domandare l’affidamento esclusivo qualora ritenga contrario all’interesse dei figli l’affidamento all’altro. Tuttavia, se la domanda risulta completamente infondata il giudice può considerare il comportamento del genitore in sede di decisione dei provvedimenti.

 Articolo 155 quater (assegnazione della casa familiare):

  • il giudice assegna il godimento della casa familiare esclusivamente in funzione dell’interesse del figlio.
  • il diritto al godimento della casa familiare viene meno se il genitore assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare, conviva more uxorio o contragga un nuovo matrimonio.

Questo provvedimento del legislatore, anche se in prima battuta potrebbe sembrare sanzionatorio del comportamento del genitore assegnatario, in realtà nasce dalla volontà di proteggere il diritto di proprietà della casa familiare del genitore non affidatario. Ben cinque giudici a quo, sostenendo che in questo caso il legislatore si mostra in contraddizione con sé stesso, proposero alla Corte costituzionale la questione di legittimità, sulla base della violazione dell’art. 3 della Costituzione. In questo caso, infatti, risulterebbe una disparità di trattamento tra quei minori il cui genitore collocatario si sposa o riavvia una convivenza more uxorio e quei minori il cui genitore collocatario, al contrario, non lo fa niente di tutto questo. Oltre a questo poi, tale articolo costituirebbe un pesante freno alla libertà di sposarsi o di iniziare una nuova convivenza more uxorio. La Corte, tuttavia, ha rigettato la questione, sostenendo che l’articolo può essere interpretato in maniera costituzionalmente orientata.

 Come detto, nel caso in cui venga assegnata la casa familiare al coniuge più debole e questi cominci una nuova convivenza more uxorio o si sposi nuovamente, la casa familiare viene revocata, fermo restando l’interesse del figlio, che deve essere sempre considerato. È difficile spiegare come la convivenza more uxorio non sia compatibile con l’interesse del figlio: a tale proposito sono state sollevate varie questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 155 quater co. 1 laddove impedisce al giudice di valutare se la situazione risulti o meno in contrasto con l’interesse del figlio e, nel secondo caso, di disporre il mantenimento dell’assegnazione. Il legislatore, infatti, non avrebbe dovuto prevedere la revoca automatica, che potrebbe risolversi in un danno per il figlio. Vi è quindi un chiaro contrasto tra questa norma ed alcuni articoli della Costituzione.

Secondo la vecchia disciplina la casa non poteva essere considerata parte del mantenimento del coniuge più debole, ma al più, e solo in caso di comunione legale dei beni, poteva essere divisa tra i coniugi. La dottrina sosteneva che la casa familiare potesse essere assegnata al coniuge più debole anche in assenza dei figli, ma al contempo riteneva che tra il diritto di proprietà ed il diritto del figlio ad abitare nella stessa abitazione, prevalesse il secondo (esproprio). Al contrario, attualmente, la Corte di Cassazione sostiene che, nel caso non ci siano figli, il diritto di proprietà prevale sul diritto del coniuge debole di continuare a vivere nella casa dove viveva in regime di matrimonio.

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