La risoluzione si distingue dalle altre figure perché non tocca il negozio giuridico ma le conseguenze che da esso nascono; non l’atto giuridico ma il rapporto.
Così si spiega perché, oltre alla risoluzione, in caso di inadempimento delle proprie obbligazioni assunte, è anche possibile chiedere il risarcimento dei danni eventualmente subiti a norma dell’art. 1218 cod. civ..
La risoluzione dai contratti può essere di due tipi:
- Volontaria quando sono le parti stesse del contratto a decidere, tramite un nuovo negozio, di voler cessare e porre fine alle conseguenze del loro rapporto obbligatorio. In questo caso il contratto stesso può prevedere un diritto di recesso a favore di una sola o di entrambe le parti. Questo diritto può anche essere tradotto in una somma di denaro da pagare alla controparte come prezzo per lo scioglimento del rapporto contrattuale instaurato (clausola penale). In tal senso un decreto legislativo di recente attuazione, in conformità ad una direttiva CEE, ha introdotto uno speciale diritto al ripensamento che un’acquirente può effettuare a proprio vantaggio entro un termine massimo di sette giorni dalla data di acquisto del bene in causa. Questa normativa trova larghissimo spazio in tutti quei casi di acquisti fatti per corrispondenza o per domicilio.
- Legale quando si tratta esclusivamente di contratti a prestazioni corrispettive (sinallagmatici) e nei soli tre casi previsti dal Codice Civile, il quale Capo si intitola, appunto, Risoluzione del Contratto:
– inadempimento della propria controparte;
– impossibilità sopravvenuta della prestazione;
– eccessiva onerosità della prestazione;
Nel caso di almeno una delle tre ipotesi appena ricordate, il contratto, anche se pienamente valido ed in fase di esecuzione, può essere immediatamente sciolto con effetti immediati, per la evidente mancanza sopravvenuta del Sinallagma.
A) Nel caso di inadempimento della controparte il creditore può agire passivamente con due mezzi molto specifici:
– A norma dell’art. 1460 cod. civ. in un contratto corrispettivo, la parte creditrice ecceda l’inadempimento, cioè si rifiuti di eseguire la propria prestazione se la controparte si rifiuta di prestare la sua o dimostri di non averne intenzione.
– Inoltre il creditore, a norma dell’art. 1461 cod. civ., in un contratto corrispettivo, può rifiutarsi di eseguire la propria prestazione se è avvenuto un mutamento delle condizioni patrimoniali della controparte tali da porre in serio ed evidente pericolo il conseguimento della controprestazione.
Questi due articoli costituiscono due importanti applicazioni al criterio di tutela preventiva, nei confronti della controparte contrattuale, e permettono al soggetto del contratto di non essere necessariamente costretto a rivolgersi al giudice Civile ma di proteggersi in maniera autonoma e soprattutto preventivamente immediata.
Tuttavia la situazione, apparentemente risolta con questi due mezzi, non rimane che sospesa fino ad un ulteriore chiarimento fra le parti.
Oltre ai due rimedi passivi appena descritti, il soggetto creditore in un contratto può anche agire attivamente non lasciando alcuna traccia di attesa e sospensione.
L’atteggiamento attivo del creditore consiste in altre due procedure diverse:
– nella richiesta di un’esecuzione coatta del contratto ad opera del giudice Civile ;
– nella la soluzione più drastica della risoluzione del contratto che lo liberano completamente dalle obbligazioni assunte.
Il creditore può scegliere liberamente tra l’esecuzione coatta e la risoluzione del contratto e può perfino convertire l’adempimento con la risoluzione, se rimane tuttavia insoddisfatto, ma non può, invece, procedere al contrario.
Nell’uno o nell’altro caso, comunque, il contraente insoddisfatto ha il diritto di chiedere il risarcimento dei danni per l’inadempimento della controparte, a norma dell’art. 1453 cod. civ..
Tra l’altro il Codice Civile, all’art. 1462, consente alle parti di introdurre nei loro contratti una clausola molto importante che prende il nome, dal diritto fiscale, di clausola solve et petere.
Questa clausola consente ad una parte di assicurarsi con una speciale forma di protezione ai fini dell’adempimento della controprestazione.
La clausola solve et petere importa rinuncia al diritto di opporre eccezioni, ed è diretta a rafforzare il vincolo contrattuale, per cui è stabilito, in deroga al normale funzionamento del principio di corrispettività, che una delle parti non può porre eccezioni al fine di evitare o ritardare il pagamento della prestazione dovuta.
Prima paghi e poi agisca in giudizio per ottenere la restituzione, in tutto o in parte, di quanto dato.
La clausola, che comporta un gravoso impegno per la parte che la sostiene, deve essere approvata per iscritto sul contratto, in quanto clausola vessatoria, a norma dell’art. 1341 e 1342 cod. civ..
Tuttavia è limitata dall’art. 1462 cod. civ. nei seguenti casi:
- essa non ha effetto nei casi di nullità, annullabilità e rescissione del contratto
- il giudice Civile, se riconosce che concorrono gravi motivi, può comunque sospendere la condanna all’adempimento della prestazione.
Bisogna però precisare che per inadempimento non si deve intendere solamente la mancata esecuzione dell’obbligazione contrattuale, ma anche il non corretto e perfetto rispetto anche di una sola parte del contratto.
Questa precisazione fa si che l’inadempimento ricopra un campo di applicazione molto più ampio di quanto non si pensi.
La risoluzione del contratto viene presentata con domanda giudiziale ed è sottoposta al termine di prescrizione ordinaria.
Dopo la domanda da parte del creditore, l’inadempiente non può più correggere la sua posizione di debito in alcun modo (art. 1453 cod. civ.).
L’azione giudiziale non è però assolutamente necessaria.
Infatti, scaduto il termine fissato per l’esecuzione delle prestazioni, la parte non soddisfatta può scrivere una diffida (procedimento monitorio) ad adempiere entro un congruo termine precisando che scaduto quest’ulteriore termine il contratto s’intende senz’altro risoluto (min. 15 giorni).
Ma neppure il procedimento monitorio, che abbiamo visto attuarsi per mezzo di una diffida, è sempre necessario.
Se ne prescinde nelle due ipotesi che seguono:
– quando i contraenti hanno inserito nel contratto una clausola risolutiva espressa, prevedendo espressamente l’effetto risolutivo in conseguenza dell’altrui inadempimento, la risoluzione si verifica in seguito alla semplice dichiarazione della parte che se ne avvale a norma dell’art. 1456 cod. civ..
– quando la prestazione deve eseguirsi entro un termine essenziale, la risoluzione opera di diritto, salvo che la parte interessata all’adempimento non dichiari, entro tre giorni dalla scadenza del termine, di voler ugualmente esigere la prestazione a norma dell’art. 1457 cod. civ..
Gli effetti della risoluzione sono di regola retroattivi (ex tunc) e comprendono la restituzione di quanto dovuto e il risarcimento dei danni provocati.
Nei contratti di durata, invece, gli effetti della risoluzione sono ex nunc non estendendosi alle prestazioni già eseguite.
B) Nel caso, invece, di impossibilità sopravvenuta della prestazione, comunque non imputabile al debitore (Es. incendio o distruzione naturale del bene, ecc.), in un contratto a prestazioni corrispettive, l’obbligazione si estingue a norma dell’art. 1256 cod. civ. per l’impossibilità sopravvenuta della prestazione per cause non imputabili al debitore, ed in mancanza, quindi, del sinallagma a causa della risoluzione del contratto così come a norma dell’art. 1463 cod. civ., cade anche l’obbligo della controprestazione il quale non sarebbe affatto divenuto impossibile.
L’impossibilità, oltre che totale, può anche essere temporanea, in questo caso l’obbligazione viene solamente sospesa fino al librarsi delle cause d’impossibilità.
In questo caso, non essendo caduto il sinallagma, la controprestazione è comunque da esigere.
Nel caso in cui intervenga una causa, esterna alle parti del contratto, a far modificare o perire la prestazione, l’intero peso è totalmente della parte debitrice che doveva adempiere la prestazione stessa e conseguentemente il creditore è liberato dall’obbligo della controprestazione a norma dell’art. 1463 cod. civ..
La risoluzione del contratto non tocca, quindi, la prestazione resa impossibile dall’evento fortuito ma la controprestazione che vi era legata.
Nei contratti a prestazioni unilaterali, quando la prestazione è solo a vantaggio di una parte, è giusto che il rischio sia tutto a carico del creditore che perde il diritto alla prestazione, in questo caso, infatti, si tratterà solamente di estinzione dell’obbligazione unilaterale.
Nel caso dei contratti traslativi con effetti, cioè, reali, l’intero peso dell’evento fortuito è subito da colui che ha acquistato il bene ed il diritto di proprietà, visto che questo si acquista direttamente con il perfezionamento del contratto che è avvenuto, ovviamente, prima del caso fortuito (res perit domino) secondo il principio consensualistico.
A tal proposito l’acquirente deve comunque eseguire obbligatoriamente la controprestazione anche se la cosa non gli è stata consegnata, a norma dell’art. 1465 cod. civ., infatti la consegna del bene è un’obbligazione accessoria alle due principali del sinallagma contrattuale e cioè al passaggio di proprietà del bene ed al pagamento della controprestazione dovuta.
C) Nel caso, invece, di eccessiva onerosità della prestazione, cioè quando in un contratto di durata il rapporto tra la prestazione e la controprestazione al momento dell’esecuzione del contratto si trovi sproporzionato rispetto a quello in cui era al momento della conclusione del contratto, la risoluzione del contratto avviene solamente per le prestazioni eccessivamente onerose ancora da eseguire.
Nei contratti con effetti unilaterali, con sopraggiungere di questi forti squilibri, è possibile la riduzione della prestazione oppure la modifica delle modalità di esecuzione delle stessa, tali da ricondurre in equità il rapporto di squilibrio così come a norma dell’art. 1468 cod. civ.. Tuttavia questo tipo di risoluzione può essere evitato dalla controparte eliminando dal contratto tutte le clausole, o parte di esse, che incidono nello stesso come troppo onerose.