L’espressione “fonte del diritto” comprende due significati:

–   FONTE DI PRODUZIONE o CREAZIONE = con questa definizione si suole indicare tutte quelle fonti da cui il diritto sgorga, quindi tutte quelle fonti che creano effettivamente l’ordinamento giuridico (costituzione, leggi, regolamenti ed usi normativi).

–   FONTE DI COGNIZIONE o CONOSCENZA = con queste definizione si vogliono indicare tutte quelle raccolte ufficiali di leggi e di norme giuridiche che portano alla conoscenza dei cittadini le progressive leggi create dallo Stato.

In tema di fonti del diritto importantissime sono le disposizioni preliminari al Codice Civile (dette anche preleggi) che a norma di diversi articoli ci danno una visione generale e chiara delle norme di produzione e dei diversi criteri e metodi di applicazione.

A norma dell’art. 1 disp. prel. cod. civ. le fonti di produzione, nel nostro ordinamento sono quattro e così gerarchicamente distribuite:

–          Costituzione;

–          Leggi ordinarie dello Stato;

–          Regolamenti governativi;

–          Norme corporative;

–          Usi normativi;

Tuttavia in relazione alla nuova normativa comunitaria e ai vari trattati internazionali che si sono susseguiti in questi ultimi decenni, sembrerebbe opportuno modificare tale struttura genealogica aggiornandola con nuove fonti normative.

Infatti accanto al testo Costituzionale si sono affiancate anche tutte le leggi costituzionale che, a norma dell’art. 138 della Costituzione, il nostro ordinamento giuridico equipara alla Costituzione stessa.

Inoltre, con l’ingresso dell’Italia all’interno della comunità Europea, oltre alla costituzione e alle leggi costituzionali so devono inserire al primo posto anche tutte le fonti del diritto comunitario (Regolamenti e Direttive).

Questa competenza, con efficacia anche interna al nostro Paese, della comunità europea ha creato non pochi dubbi e sollevato non poche perplessità sul fatto che all’ordinamento giuridico nazionale si sovrasti quello comunitario.

Proprio per questo motivo la Corte Costituzionale si è pronunciata in diverse occasioni ribadendo che l’attuazione delle norme comunitarie non è opera di sopraffazione dell’ordinamento europeo a quello italiano dato che non è finalizzato alla priorità su quello nazionale ma concorre perfettamente in un binario parallelo.

Inoltre, dice la Corte Costituzionale in merito, le norme comunitarie trovano applicazione anche nel nostro Paese dopo che il Parlamento italiano ha ratificato il trattato di Mastricht con una legge dello Stato e quindi ha fatto proprio l’attuazione di norme straniere con una norma italiana.

Inoltre spetta al giudice ordinario applicare al caso specifico eventuali norme comunitarie esistenti in materia.

Per questo motivo, negli ultimi decenni, la Comunità europea ha emanato Direttive e Regolamenti per l’indirizzo di determinati settori finanziari, commerciali ed industriali conformando tutti i Paesi membri alle stesse disposizioni per motivi di trasparenza, sicurezza e tutela, soprattutto nei luoghi di lavoro.

Inoltre è da specificare che la competenza a legiferare norme in materia di Diritto Privato è stata riservata esclusivamente allo Stato centrale, tramite il Parlamento, dall’art. 117 Cost. che consente così un indirizzo unico ed uguale per l’intero Paese.

Pertanto un siffatto ordinamento esclude la competenza delle Regioni a legiferare in materia di Diritto Privato.

  • La COSTITUZIONE nella parte iniziale del suo testo contiene tutta una serie di articoli e di principi che si considerano punti cardini del nostro ordinamento giuridico dettando norme di carattere sociale ed economico (importante è soprattutto l’art. 1 Cost.)
  • La LEGGE è per sua natura, volontà dello Stato, ma può essere anche delle Regioni, soprattutto quelle a Statuto speciale, o delle Provincie, ma solo quelle autonome di Trento e Bolzano. Frutto della legge sono i codici e i testi unici.

Spesso il Parlamento, in materie molto settoriali e tecniche, avendo una scarsa competenza in materia, detta, con leggi apposite. Gli indirizzi da seguire al Governo il quale, sfruttando la deroga legislativa data dal Parlamento con la stessa legge indirizzo, si impegna, soprattutto grazie a tecnici qualificati esterni al Governo stesso, a redigere un insieme di norme in materia che andranno poi a disciplinare attivamente e con piena forza di legge, una volta approvato dal Parlamento, il settore per cui sono state create.

Questo è proprio il procedimento che è stato seguito nel 1942 per la creazione del Codice Civile e di Procedura Civile attuale, nel 1931 per il Codice Penale, nel 1989 per il Codice di Procedura Penale, per il Codice della navigazione e per la legge fallimentare.

Comunque le esigenze di una vita in continua evoluzione e di un ordinamento giuridico sempre in fermentazione hanno fatto si che tutte queste fonti venissero modificate, abrogate in parte ed aggiunte con nuove disposizioni, per rendere sempre più armoniosa la vita giuridica con quella economica e sociale del nostro Paese.

Inoltre, spesso, le esigenze del sistema portano a raccogliere tutte le leggi in vigore per una data materia, in modo da avere una facile consultazione delle stesse e una chiarezza legislativa di particolare e spiccata efficacia.

Le nostre attuali codificazioni derivano, anche se contengono notevolissime differenze, dalle passate codificazioni giuridiche come quella di Giustiniano, nell’antico Sacro  Romano Impero, con il Corpus Juris o come quello del mitico Napoleone con il Codice Napoleone del 1804 e in vigore fino al 1942.

Quest’ultimo codice, infatti, rappresentò uno sconvolgimento della situazione sociale e giuridica di allora.

Il codice Napoleone è basato sul principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge.

In quel codice, infatti, al centro dell’ordinamento si porta la proprietà e tutti i diritti ad essa collegati.

La proprietà fu messa al centro proprio da Napoleone in modo tale che tutti gli altri Istituti giuridici gli ruotassero intorno considerandola come diritto assoluto.

•   I REGOLAMENTI NORMATIVI, anche essi fonte del diritto, sono norme emanate dal potere esecutivo (governo) non per disciplinare la materia con obblighi o diritti, ma ne disciplinano soltanto l’organizzazione dell’esercizio e per questo hanno un valore subordinato alla legge.

Dai regolamenti normativi vanno distinti tutti gli altri atti normativi del Governo, come i Decreti legge o i Decreti legislativi che non sono altro che disposizioni legislative con valore di legge derogate temporaneamente al Governo dal Parlamento con relativa legge di deroga. Ai regolamenti governativi si oppongono quelli delle Regioni, delle provincie, delle università, ecc. che hanno soltanto competenza settoriale e non generale.

•         Gli USI sono fonte del diritto soltanto quando la legge non dice nulla in materia e diventano normativi soltanto quando chi li osserva non va in contro a nessun divieto legislativo (reato penale o illecito Civile) e nella piena convinzione di seguire un imperativo. giuridico. Essi non si creano come la legge da una diretta volontà parlamentare, ma in maniera spontanea ed automatica ogni qualvolta la legge non dica nulla in materia e non per incrementare quanto già dice la legge in un particolare contesto.

Si possono distinguere gli usi in:

– contra legem se dettano disposizioni contrarie alla legge;

– secundum legem se dettano disposizioni conformi alla legge;

– praeter legem se dettano disposizioni che sono ignorate dalla legge.

Oltre alle fonti ufficialmente menzionate dal Codice Civile nelle Preleggi, altre fonti del diritto sono:

• La GIURISPRUDENZA cioè il complesso delle decisioni (sentenze) giudiziarie. Oggi i giudici hanno funzioni molto diverse da quelle di un tempo passato in cui potevano anche dettare loro la legge come avveniva per i Pretori romani e per i giuristi che possedevano il ius respondendi ex auctoritate principis. Un tempo i giudici applicavano la legge e dove c’era incertezza o mancanza di diritto erano proprio loro che si sostituivano al legislatore e creavano le norme su misura al caso in concreto che avevano di fronte. Oggi, invece, il ruolo del giudice è stato limitato democraticamente di molto. Infatti, innanzitutto si è voluto scindere il potere giudiziario da quello esecutivo e da quello legislativo soprattutto per evitare contrasti ed egemonie. Inoltre oggi il giudice è considerato come la bocca della legge e di questa deve essere il portatore non il creatore che rimane solo ed esclusivamente il legislatore parlamentare. Le sentenze dei giudici, oggi, sono vincolanti soltanto fra le parti in giudizio e non costituiscono precedenti da seguire ed interpretare.

• La DOTTRINA cioè il complesso delle ricerche e dei risultati dello studio scientifico del diritto, oggi ha un suo valore soltanto perché è strettamente legata alla morale e all’etica del ben fare del legislatore. Infatti non poche volte il legislatore ha trovato dei limiti al suo potere proprio dalla dottrina o addirittura ha trovato dalla dottrina proprio l’iniziativa legislativa. Pensiamo quanta importanza ha avuto la dottrina negli anni intorno al 1975 in cui la riforma della famiglia era in discussione al Parlamento o alle relative discussioni parlamentari circa la riforma agraria, ecc.

 • L’EQUITA’, in fine, ha valore come fonte del diritto soltanto quando è richiamata espressamente dalla legge e non pochi sono i casi in cui il Codice Civile, ad esempio, ne fa uso soprattutto in materia di contratti, di fatti illeciti e di obbligazioni in genere.

Lascia un commento