Il comando giuridico è generale e rivolto a tutti. La legge prevede in astratto e generalmente il fatto che poi in concreto trova la sua applicazione normativa giuridica.

L’applicazione della norma al fatto concreto, appunto, è opera del giudice che con il suo bagaglio culturale e tecnico di particolare importanza, deve interpretare la legge, applicarla al caso concreto ed estrapolare dal tutto le conseguenze per le parti tramite la sentenza.

Il giudice, quindi, applica il diritto e non lo crea, come invece accadeva in passato.

In campo Civile vige il principio secondo il quale il giudice deve limitarsi alla discussione del fatto presentatosi dinanzi e solo a quello e lascia esclusivamente alle parti tutta l’attività probatoria e dimostrativa.

Il giudice, quindi, è chiamato ad un difficile compito che è quello di dover trovare le giuste norme da applicare anche se è compito delle parti, ed in particolare degli avvocati civilisti, attirare l’attenzione del giudice verso i fatti e le norme che più direttamente soddisfano i propri interessi anche se poi il giudice ragiona ed agisce con propria testa andando ad applicare anche norme che le parti non avevano menzionato.

Quindi il ruolo importantissimo del giudice è quello dell’interpretazione della norma che è affidata, ripetiamo, alle capacità e alla preparazione del singolo magistrato e da cui dipendono le sorti delle parti. In questa attività di ricerca, il giudice, deve trovare la norma più possibile reale al fatto concreto ed in mancanza di questa deve procedere per analogia al caso presentatogli.

Secondo i soggetti che la applicano, l’interpretazione può essere:

DOTTRINALE = è quella che avviene ad opera dei tecnici del diritto, cioè dai professori universitari, dai ricercatori del diritto ai fini scientifici e didattici;

GIUDIZIALE = è quella che avviene ad opera dei giudici nelle loro sentenze di ogni grado e ordine;

AUTENTICA = quella che viene fatta dal potere legislativo stesso tramite altre leggi esplicative o regolamenti chiarificatori con valore retroattivo erga omnes.

L’interpretazione può avvenire tramite due procedimenti:

INTERPRETAZIONE LETTERALE = con questo tipo di interpretazione si cerca di stabilire il significato delle singole parole che compongono il testo normativo e che vengono fatte in connessione fra di loro e non staccate (art. 12 disp. gen. cod. civ.);

INTERPRETAZIONE LOGICA = con questo altro metodo di interpretazione si cerca di stabilire quale è il vero scopo della legge all’interno della società e se ne traggono le conseguenze.

Ma questi due non bastano all’individuazione del comando giuridico all’intero della società e dell’ordinamento giuridico. Allora ecco che altri due metodi interpretativi si fanno avanti:

INTERPRETAZIONE STORICA = dal presupposto che una norma giuridica non viene creata da un momento ben definito ma è il frutto di esigenze ed evoluzioni storiche ben precise, si trae il comando giuridico in considerazione della storicità del caso in particolare;

INTERPRETAZIONE SISTEMATICA = in virtù del fatto che l’ordinamento giuridico è da considerare come un organismo vivente, la norma presa da sola potrebbe avere un determinato significato contrario ed opposto alla stessa presa in considerazione con le altre norme e con queste intercalata.

Successivamente all’interpretazione, qualunque essa sia, secondo i risultati si avranno diversi tipi di situazioni, per cui avremo:

INTERPRETAZIONI RESTRITTIVE = con questo tipo di risultato l’interpretazione logica restringe il significato della norma rispetto ad una attenta lettura (interpretazione letteraria) della norma;

  • INTERPRETAZIONI ESTENSIVE = con questo tipo di risultato, grazie all’interpretazione logica, si allarga il significato dell’intera norma rispetto ad una lettura attenta della norma;

INTERPRETAZIONI DICHIARATIVE = queste vengono a crearsi se il risultato dell’interpretazione logica coincide con quello dell’interpretazione letterale.

Il sistema giuridico (ordinamento) è dato come un sistema completo e perfetto. Inoltre il giudice, pena l’imputazione di reato (art.328 cod. pe.), non può sottrarsi all’intervento nel caso di violazione della legge. Tuttavia accade che in taluni casi o in determinate materie la legge contenga delle lacune o delle totali mancanze in merito. In questi casi, allora, si parla di ANALOGIA, cioè dell’applicazione del diritto fatto precedentemente per materie analoghe e similari in maniera più possibile corrispondente (analogia legis).

Quando neanche l’analogia è applicabile, si ricorre ad un sistema più generico e per questo poco utilizzato, quello, cioè, di seguire e considerare i principi generali dell’ordinamento vigente (art. 12 disp. prel. cod. civ.) in maniera che si venga a considerare il caso presentatosi con un comportarsi etico e giusto il più possibile, quasi deontologico. Essi sono delle regole non scritte, ma desumibili dal sistema giuridico e sono stati definiti come le norme dietro le norme (es. pensiamo al dovere di comportarsi secondo equità, buona fede e correttezza, ecc.).

Il caso, per esprimersi tramite l’analogia, deve contenere tre presupposti:

1. il caso deve essere completamente sconosciuto dalla legge, altrimenti si avrebbe interpretazione estensiva;

2. deve esistere un elemento di identità tra il caso previsto e quello non previsto;

3. l’identità tra i due casi deve riguardare l’elemento per cui il legislatore ha formulato la regola che disciplina il caso previsto.

Non per tutte le leggi è possibile applicare il sistema analogico come per le leggi in materia penale e per quelle eccezionali. È, invece, ammessa per le norme di diritto speciale.

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