Schumpeter ha ristretto nei suoi estremi limiti la democrazia facendola rifluire in uno scenario di tipo liberale. Quello che caratterizza il metodo democratico è la predisposizione di un sistema di procedure che garantiscono la regolarità della lotta per la gestione del potere di decidere ciò che è per tutti valido.

Per Schumpeter la politica non è questione di razionalità e vano risulterebbe ogni sforzo di fonderla sulla base di buoni argomenti razionali. La legge non si preoccupa di un bene comune interpretato come autoevidente. In società differenziate “il bene comune avrà significati diversi per individui e gruppi diversi”. La critica della nozione classica di democrazia è collegata alla decostruzione dell’idea di soggetto in vista della emersione “dell’elemento extra razionale e irrazionale della condotta umana”.

L’altra vittima illustre della destrutturazione operata da Schumpeter è il concetto di rappresentanza. Schumpeter invita alla sbarazzarsi della dottrina della rappresentanza e a prendere atto che in politica non conta la decisione dei problemi ma la selezione del personale politico cui toccherà decidere. Non c’è alcuna volontà generale che la politica dovrebbe soltanto rispecchiare. “il compito del popolo è di produrre un governo”.

Ciò significa che il popolo non incarna alcune razionalità materiale e che toccherà al governo individuare obiettivi, selezionare opzioni. Non la partecipazione, la pubblica discussione razionale, ma l’accettazione della leadership è il vero nodo dell’agire collettivo. Solo il leader può raccogliere le domande e trasformarle in strumenti di azione politica. La democrazia altro non è che “libera concorrenza per un voto libero”. La politica non è roba per dilettanti.

Il politico è il mediatore tra i cittadini e i problemi. Il voto per Schumpeter significa “riconoscere un capo”. Per Schumpeter la democrazia implica “un metodo riconosciuto per condurre la lotta, e che il metodo democratico è praticamente il solo disponibile”.

La dimensione eminentemente tecnica della democrazia rimarcata da Schumpeter merita di essere recuperata in un quadro storico-istituzionale più ampio. Il metodo tecnico suppone una profonda istanza egualitaria o se si preferisce un valore storico, come il suffragio universale. La democrazia è una tecnica istituzionale che condiziona il perseguimento dei “valori” al ricevimento del consenso e riesce a conservare il metodo pacifico di risoluzione dei contrasti solo se accresce l’efficienza sociale delle tecniche di governo.

Per Schumpeter invece il metodo serve solo per decidere e vale “a prescindere da ciò che quelle decisioni produrranno in condizioni storiche date”. La democrazia come metodo pacifico, fondato su discriminazioni formali tra i soggetti, confonde tra loro sistemi istituzionali che andrebbero invece accuratamente differenziati.

L’entità dell’universo che fa parte della cittadinanza politica è però decisiva ai fini dell’apprezzamento di un metodo di competizione politica. Secondo Schumpeter il popolo è un risultato della legge e pertanto “dal populus in senso costituzionale possono essere esclusi totalmente gli schiavi e in parte altre persone”.

Schumpeter: “la democrazia non è per noi definita dall’estensione del diritto di voto”. Il punto della debole dell’impostazione di Schumpeter è la mancanza di una accezione normativa della nozione di popolo. Il suo assunto è infatti tutt’altro che risolutivo: “lasciamo ad ogni populus di autodefinirsi”.

I programmi contano molto meno in politica da quando si è scoperto che la democrazia non è un fine, che il bene comune è solo un residuato teologico, che la partecipazione è un mito pericoloso. L’approccio di Schumpeter vuole essere anti-ideologico attento solo al dato della competizione.

Stabilire chi deve decidere è più importante di cosa decidere. La decisione è senza fondamento, il consenso non può indirizzare i contenuti della norma. “possiamo dire che creare un governo equivale praticamente a decidere chi debba essere il leader”. Cade perciò il fondamento della proporzionale e irrilevante diventa anche il tema del consenso informato sui programmi. Conta soltanto il leader che con i dispositivi del marketing elettorale riesce a ottenere la delega assoluta e sostitutiva a decidere.

Schumpeter postula un ingrediente valoriale come autentica costituzione materiale delle democrazie elettorali: il regime proprietario come bene in surrogabile. È un metodo impregnato di contenuti non problematizzati quello che Schumpeter pretende fondare in termini rigorosamente tecnici e proceduralistici.

I principi strutturali della società vengono assunti come un dato non problematizzabile. L’unica precaria certezza su cui Schumpeter riesce a motivare la desiderabilità della democrazia è che le altre forme di governo sono peggiori. La riduzione della politica a pura tecnica di decisione peraltro non è esente da contraddizioni.

Il mercato suggerisce alla gente razionali immerso nei traffici della modernità di rinchiudersi nella cerchia privata perché non può essere cittadino integrale se per appagare le cure della quotidianità deve dedicarsi a una professione che richiede tempo. E tuttavia l’invito pressante di Schumpeter e rivolto agli abitatori del mercato di starsene quieti nella loro privatezza urta un riemergente bisogno di civitas.