A questo punto risulta necessario capire per quale motivo tale teoria, pur lontana da quella di Kelsen, viene accusata da Tarello di occultare fratture e individuare coerenza di un sistema che presenta contraddizioni e conflitti tra forze che si vestono come giuridica, istituzionalizzando cioè il predominio del più forte.
Leggiamo il testo dì Romano: “ il processo di obiettivizzazione non inizia con l’emanazione di una regola, ma in un momento anteriore: le norme non sono altro che una manifestazione con cui si fa valere il potere dell’io sociale; potere che costituisce il diritto stesso e, la norma, non è altro che la sua voce. L’obiettività delle norme non è che un riflesso dell’obiettività di tale ente (obiettività che si ricollega al carattere impersonale del potere che elabora e fissa la regola, potere che trascende e si innalza sugli individui)”.
Benché possa sembrare paradossale, dobbiamo riconoscere che la teoria istituzionalistica (Romano) costituisce un’identificazione del diritto col potere più radicale ancora di quella normativistica (Kelsen):
– per Kelsen infatti il potere è condicio sine qua non della giuridicità ma non è la giuridicità stessa, posto che la norma fondamentale a costituire la premessa maggiore, cioè a trasformare il potere in diritto;
– nella prospettiva di Romano l’ordinamento giuridico, inteso come processo dell’unificazione sociale di una pluralità di comportamenti individuali, è inteso esclusivamente come operazione di controllo delle possibili divergenze e contese tra gli individui→ dunque, come tutti i geometri delle leggi, postula la conflittualità come condizione originaria dell’uomo ridotto allo stato di individuo incapace di comunicare. Sicché l’unificazione degli individui può darsi solo a condizione che un io sociale si sovrapponga a tutti.
Questo “ io sociale” è qualificato come tipico (convenzionale), astratto (artificiale) e oggettivo (impersonale); in particolare l’oggettività non rappresenta qualcosa di comune a tutti bensì qualcosa di egualmente estraneo a tutti, ed è proprio questa estraneità, con la convenzionalità e l’artificialità, che consente la sovrapposizione a tutti dell’io sociale.
A proposito del processo di oggettivizzazione, che darebbe luogo all’ordinamento giuridico, consistente in realtà in una spersonalizzazione del comportamento individuale, può riuscire illuminante un testo di Natalino Irti: “l’ordinamento giuridico esemplifica, riduce e combina le note di un’esperienza pratica e foggia un tipo o schema di azione. L’ordinamento rompe l’unità dell’agire umano e isola singoli tratti, che fungono da criteri di individuazione del comportamento.
La norma dunque non valuta un comportamento reale, appartenente al passato, ma si rivolge al futuro e considera un contegno che potrà o non potrà seguire. Il disposto normativo non si presenta quindi come criterio direttivo, bensì come criterio selettivo del comportamento individuale”.
Si rileva quindi come nella prospettiva geometrica, quella giuridica non è una realtà, se non una realtà virtuale.
Per la geometria legale la più assoluta e rigorosa obiettivizzazione giuridica dell’azione / contegno dell’uomo, consiste nella depurazione di questo dall’elemento soggettivo e dunque nella virtuale unificazione dei comportamenti individuali mediante la rappresentazione normativa degli stessi. In una parola mediante l’ordinamento giuridico inteso come insieme ordinato di norme.