Un altro endoxon presente nel dibattito bioetico consiste nell’affermare che Il criterio di giustificazione e di limite di ogni attività biotecnologia sarebbe il rispetto per l’autonomia del soggetto adeguatamente informato.
Il criterio dell’autonomia è sostenuto in particolare dai sostenitori delle tesi pro-choice, ma non solo.
Per Autonomia si intende la capacità di scelta di un soggetto responsabile il quale si autoregola, cioè si dà norme da solo. Ma va detto che il significato che si da all’autoregolarsi dipende
da cosa si intende per “capacità di scelta”
e cosa si intende per “criterio” in base al quale si opera la scelta e si risponde di essa agli altri.
Ma l’autonomia e l’autoregolarsi vanno rapportati all’antropologia e alla gnoseologia.
Infatti oggi abbiamo fondamentalmente due modelli antropologici che di conseguenza influenzano le scelte etiche e bioetiche: il modello utilitaristico (che fa da base alla morale edonistica) ed il modello kantiano (che fa da base alla morale categorica). Anche se contrapposti i due modelli sono accomunati da una mentalità razionalistica ed individualistica e quindi offrono un’ immagine riduttiva dell’autonomia.
Così il modello antropologico dominante nella DOTTRINA UTILITARISTICA è ravvisabile nell’ immagine dell’homo faber: questo trasforma il mondo circostante in funzione di un suo ben definito e razionale progetto finalizzato al conseguimento della massima utilità possibile, nel rispetto della libertà e dell’uguaglianza fra gli uomini. Il bene coincide con la soddisfazione dei bisogni e dei desideri.
L’ homo faber è però dominato dall’errore razionalistico che pregiudica l’autenticità della sua concezione dell’autonomia. Infatti sostiene la piena autosufficienza della ragione calcolante, questa sarebbe in grado di conoscere tutto quanto le serve e anche il modo di procurarselo.
L’uomo guidato da una tale ragione è individualista perché non ha bisogno di altro. L’altro può essere un compagno di strada, un aiuto o un ostacolo ma non è mai essenziale.
Autonomia in quest’ottica vuol dire quindi essere lasciato solo per obbedire all’unica fonte di autorità: la propria ragione.
Il limite del razionalismo e dell’individualismo è ravvisabile chiaramente nella mentalità utilitaristica. Caratteristica principale dell’utilitarismo moderno è di ritenere la massimizzazione dell’utilità personale cm unico metro di misurazione di qualsiasi azione. È pienamente uomo colui che incrementa il benessere, il perseguimento del piacere, la realizzazione dell’interesse e tutto quanto è apprezzabile e rapportabile alla natura edonistica dell’uomo. In quest’ottica il prendere in considerazione gli interessi di altri potrebbe apparire sorprendente, ma in realtà non è così, come afferma Bentham, che dice che per aumentare la propria felicità e il proprio benessere è necessario calcolare l’estensione del piacere, dell’utilità, ossia è bene calcolare chi e in che modo è coinvolto dalla nostra azione così da tendere alla massimizzazione della nostra felicità, quindi nel considerare gli altri non c’è alcun ALTRUISMO.
L’etica utilitaristica è consequenzialista cioè un’azione viene compiuta non tanto valutando l’azione in se ma le conseguenze (es. dono all’associazione dei malati di tumore perché se mi ammalo mi assisteranno e non per fare beneficenza). Se mi danno un tornaconto pongo in essere le azioni suddette altrimenti no!!!
A giudizio dei sostenitori dell’etica utilitarista essa è l’unica etica razionale e controllabile. Per valutare un’azione occorre infatti controllare se essa è idonea o meno ad aumentare il proprio benessere.
Ma questa etica in realtà porta ad un risultato sconcertante: nel tentativo di conciliare le diverse pretese di utilità si è costretti ad annullare le diversità per intendere ogni uomo come soggetto pienamente intersicabile.