A partire dalla consapevolezza della convenzionalità e dell’astrattezza della geometria legale e della virtualità dell’ordinamento giuridico costruito, deve muovere il discorso di chi voglia superare l’aporia in cui si è infilata la geometria legale.

Per evitare il necessario abisso della barbarie a cui porterebbe la riduzione dell’uomo al lupo dello stato di natura e del diritto alla mera tecnica del controllo sociale è necessario postulare una diversa concezione dell’ordinamento giuridico: l’intervento della comunità non deve essere teso solo alla neutralizzazione delle interferenze dei singoli, ma alla liberazione di ciascuno dal condizionamento immediato dell’appetito dell’istinto; a tal fine è necessario ammettere la presenza dell’eticità in ciascuno dei membri della comunità.

Ne consegue che non è certo attraverso un processo di spersonalizzazione e si può attuare l’ordinamento giuridico delle relazioni tra gli uomini.

Solo un intelligente e premurosa attenzione alla naturale attitudine del discernere tra il bene e il male, costituisce la misura e il motore di un autentico ordinamento giuridico delle relazioni interpersonali. Già Cicerone notava come né le leggi, né altri imperativi o divieti posseggono in sé la forza che può indurre ad agire rettamente e ad evitare trasgressioni: una forza che risale ad una ragione proveniente dalla natura universale, la quale spinge gli uomini ad agire rettamente.

È dunque in tal senso che deve muoversi il discorso, abbandonando il metodo ipotetico-deduttivo della geometria per abbracciare quello dialettico secondo cui: di fronte a cose che hanno tra loro qualcosa di comune, non bisogna smettere di esaminarle prima di aver distinto tutte le differenze che costituiscono la specie e, d’altra parte, di fronte alle differenze non bisogna scoraggiarsi e distogliersi prima di aver compreso tutti i tratti di parentela che esse nascondono e di averli raccolti in un genere.

Per intendere dialetticamente l’ordinamento giuridico conviene dunque prendere le mosse dalla considerazione delle somiglianze e delle differenze che si percepiscono nell’esperienza tra le relazioni intersoggettiva e l’autonomia del singolo.

Sono le stesse aporie della geometria legale a porre il problema, è sufficiente leggere tra le righe:

Kelsen, dopo aver affermato che mediante la norma fondamentale il potere si trasforma in diritto, confessa di non poter considerare il diritto positivo come un vero complesso di fatti e lo Stato come un aggregato di rapporti di fatto tra forze. Ma c’è di più: Kelsen afferma l’esistenza di una condicio per quam dell’ordinamento, una condizione della sua fondatezza che viene individuata nella doverosità categorica che opera nell’animo di ciascun soggetto (un’aporia stante l’etichetta individualistica della geometria legale).

Hagerstrom, dopo aver affermato che la volontà dello Stato come supporto del diritto positivo è soltanto un fantasma e dopo aver constatato che dopo tutto l’intero sistema delle leggi viene conservato, si chiede se ciò non presupponga un’attitudine generale della società al mantenimento del diritto. A questo interrogativo risponde che tale gruppo di sentimenti può dividere in due specie:

  1. senso del dovere, riguardante le restrizioni della propria condotta;
  2. sentimenti di potere, riguardo all’acquisizione di quei vantaggi che le leggi garantiscono.

(di nuovo un’aporia stante l’apriori della geometria legale).

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