Ci sono dei casi che hanno in comune il fatto di essere alternativi al sistema giudiziario: il caso più eclatante è il diverso rapporto cooperativo che si instaura tra gli attori in conflitto, una legittimazione diversa che potremmo definire giustizia di prossimità. Ciò lo si vede perché anche il nostro sistema concede vie diverse a quelle del giudice per dirimere le controversie ma addirittura il giudice può eseguire vie alternative rispetto al giudizio. Ciò è un paradosso perché il giudice non più decide ma concilia e media quindi pacifica: il giudizio conciliativo. Ciò scioglie la lite decomponendola e avvicinando i configgenti che perdono la loro identità antagonistica. Il giudice può tuttavia esser assente, i veri attori sono i confligenti: se il giudice c’è allora dichiara solo che il giudizio è inutile che si faccia. La figura centrale diviene il “conciliatore” che è colui che è in grado di conciliare (es. separazione congiunta)

Tra giudice, conciliatore, mediatore e arbitro ci sono differenze antropologiche che emergono quando si parla di soluzioni alternative. In particolare il ricorso all’arbitro è una sorta di scommessa che ci possa esser una parte imparziale. Questa è nominata di comune accordo dalle parti e per questo è vicino è equidistante dalle parti in gioco. L’arbitro è tuttavia minato dal diritto insopprimibile di ricorrere al giudice: tuttavia nei regolamenti di molte camere emerge una sorta di mimesi tra regole arbitrali e di procedura vigente ma ciò dipende soprattutto dalla cultura del processo come monopolio di una competenza esclusiva del giurista. Nella giustizia di prossimità rimane cmq ancora importante l’arbitro.

Parlando invece di mediazione: essa è nel mezzo tra due estremi coincidendo con la loro relazione e la loro esistenza. La mediazione prende in carico il problema . E’ una posizione difficile ma non è uno spazio di sottrazione, come quello del giudice che deve perdere l’identità mascherandosi dietro la legge. Chi media non può far l’interesse dell’una o dell’altra parte in quanto si trasformerebbe in un avvocato o giudice, magari corrotti. Il mediatore sta con le parti e non trova uno spazio neutro: qui risiede la grande utopia del moderno che è la terzietà. Quindi deve perdere la neutralità fino in fondo: in questo modo diviene mezzo per la pacificazione e rimedio per il conflitto grazie allo stare tra i contendenti.

La statistica, la geopolitica e l’ermeneutica ci possono venir in aiuto riguardo alla sapienza del mediatore giudice: il rapporto scalare tra due valori estremi immaginabili come numeri o valori esponenziali dello stesso genere ci da media, moda e mediana. La media presuppone separazione ma esclude congiunzione, risolvendo il conflitto interrompendo ogni comunicazione e escludendo passato e futuro: è un giudizio salomonico e si esprime come misura paradossale della decisione oltre che valore intermedio. La moda indica invece preferenze maggiormente espresse escludendo le minoranze: si parla di principio maggioritario. La mediana invece, che è la più specifica per l’esperienza di mediazione, indica il punto intermedio che ha il vantaggio di esser a uguale distanza dai termini ultimi: in questo modo è davvero prossima a ambo le parti ed è il vero spazio comune ai due termini opponenti, in pratica rimette le parti confligenti in grado di ricominciare a comunicare questo è lo scopo della mediazione).

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