Il carcere era inizialmente pensato come luogo di provvisorietà per i nemici e in seguito diventa investimento definitivo dove indirizzare i criminali. In questo luogo ogni sistema sociale tenta di autoregolare i proprio problemi attraverso una secolarizzazione della pena: esso diventa un luogo che ha funzione quindi di espiazione della pena, che se non fosse espiata per Nietsche sarebbe solo il mimo della guerra e della festa.
Il nemico indica uno stato di inimicizia comunque collegato all’esterno di un gruppo, di una comunità o una nazione: queste tre entità sono blindate da confini da cui il nemico si trova fuori. Il criminale innanzitutto abita all’interno e quindi va distinto dal nemico interno: quest’ultimo è colui giustifica una sovranità forte capace di decidere sullo stato di eccezione e che giustifica la presenza di un potere costituito. Ma è eccezione rispetto al nemico esterno. Normalmente all’interno si è tutti in amicizia: essa poi verrà sostituita dal patto (cedere violenza/rispetto regole). Nasce quindi la categoria del cittadino che rispetta la legge, altrimenti è un criminale. Per Hegel il massimo del riconoscimento dell’ordinamento giuridico si ha con la trasgressione: il ladro riconosce la legge in tutta la sua validità perché ruba e si nasconde. Quindi la criminalità nasce all’interno della società e in essa trova i suoi rimedi.
Ogni sistema sociale per difendersi dalla criminalità attua logiche immunitarie: mette quindi in atto rimedi destinati a neutralizzare i crimini. E’ la società stessa con le sue componenti a produrre la malattia e quindi attua rimedi come se la malattia fosse un veleno e il rimedio l’antidoto (pharmakon). Ci sono 3 modelli di rimedi e in tutti e 3 la violenza è rimedio alla violenza: il primo è quello del sacrificio (sistema preventivo del sacrificio), in cui la giustificazione è religiosa e la violenza sulla vittima catalizza ogni violenza della comunità. Ciò è però paradossale perché uccidendo l’innocente diviene colpevole e il colpevole innocente. Il secondo modello è la faida (sistema preventivo curativo): qui la violenza è simmetrica e la giustizia è affidata all’esito di un duello o una guerra e esso è il modello della comunità internazionale. Il terzo modello è quello della violenza fredda amministrata da apparato giudiziario (sistema curativo): questo modello segue la costituzione di uno Stato con i suoi apparati di sovranità, in cui il giudice regola e amministra la giustizia in nome di tutti, anche del colpevole. La pena non può però esser troppo violenta perché il rimedio tornerebbe a assomigliare al male che si vuol combattere. Il carcere in questo modello nasce come luogo dove escludere e separare illudendosi di poter anche rieducare.
Il carcere è il luogo dove si possono dare ai detenuti delle chances di risocializzazione: in pratica la pena dovrebbe esser utile ma poi esiste l’ergastolo che è pena perpetua. Con l’ergastolo in pratica si sarà per sempre quello che si è fatto in un attimo. Ciò vuol dire che la pena è comminata perché si è fatto qualcosa ma poi essa viene espiata perché si è qualcosa: c’è un evidente contraddizione.
Nello stato di diritto il processo diviene luogo e rito pubblico d’un confronto dialettico sulle parole cui il giudice da l’ultima parola sulla vicenda dando una pena discreta e non più esemplare. Anche il carcere non può più esser il luogo della segretezza, proprio perché li al buio si son praticate nuove ingiustizie. Per Canetti il pubblico è il garante della legittimità della condanna, emanata dalla sovranità in nome del popolo, nonché il destinatario del messaggio punitivo. Il pubblico è però per Canetti responsabile di forme moderne di esecuzione pubblica come le uccisioni collettive, in quanto tutti con giornali e televisioni ne prendiamo parte.