Vi sono taluni aspetti degli atti giuridici delle varie istituzioni comunitarie che si prestano ad una trattazione complessiva di indole generale.
a) Forma e motivazione. Nella loro forma esteriore gli atti giuridici delle istituzioni comunitarie sono costituiti da un titolo, un preambolo, le disposizioni propriamente dette e una formula finale.
I trattati istitutivi non pongono a carico degli organi comunitari l’obbligo di «qualificare» gli atti giuridici che emanano: del resto la distinzione tra i vari tipi di atti non ha carattere meramente formale ma sostanziale cfr. ad es. CGCE 13-V-1971, causa 41-44/70, Raccolta, p. 411, che considera somma di decisioni individuali l’art. 1 del regolamento 983/70 e CGCE 16-VI-1993, causa C-325/91, in Raccolta, p. I, 3283 che considera soggette ad impugnativa ex art. 173 le comunicazioni della Commissione in tema di aiuti suscettibili di produrre effetti giuridici.
Tra le norme relative alla forma che le istituzioni comunitarie sono tenute ad osservare per l’adozione di atti giuridici possono essere considerate pure le disposizioni relative all’obbligo di motivazione. Nelle materie di competenza della CE e dell’Euratom, il Consiglio e la Commissione sono tenuti, conformemente all’articolo 253 (già 190) CE e all’articolo 162 Euratom, a motivare i regolamenti, le direttive e le decisioni che essi adottano.
Cfr. art. 254 Trattato CE: «I regolamenti, le direttive e le decisioni, adottati congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio, nonché detti atti adottati dal Consiglio o dalla Commissione sono motivati e fanno riferimento alle proposte o ai pareri obbligatoriamente richiesti in esecuzione del presente Trattato».
L’obbligo è stato istituito sia per permettere alla Corte di giustizia di esercitare pienamente il controllo sulla legittimità degli atti giuridici, sia per tutelare gli interessi dei destinatari in quanto una motivazione chiara e precisa dà loro la possibilità di verificare che le misure in questione siano state correttamente applicate e che i fatti dedotti corrispondano a verità (in modo, eventualmente, da poter far valere in giudizio i loro diritti, soprattutto quando si tratti di misure rientranti nella discrezionalità delle istituzioni comunitarie).
Ogni atto adottato dalla Comunità deve far riferimento ad una specifica norma del Trattato: deve cioè indicare la propria base giuridica (in sede pratica, e nel contenzioso comunitario, ciò ha rilievo perché la scelta di una o di un’altra base giuridica comporta spesso una diversa maggioranza in seno al Consiglio ed una diversa partecipazione del Parlamento).
b) Pubblicità. A norma degli articoli 254 (già 191), comma 1o, CE, 163, comma 1, Euratom e 15, comma 3, CECA, solo i regolamenti, le decisioni generali CECA e le raccomandazioni generali CECA devono essere pubblicati.
Le direttive e le decisioni, invece, possono essere pubblicate (e lo sono, generalmente, quando sono importanti). L’art. 254 stabilisce che devono essere notificate ai loro destinatari e che hanno efficacia in virtù della notificazione (la pubblicazione non dispensa da quest’obbligo: CGCE 14-VII-1972, causa 52/69, Raccolta, p. 787). La notificazione avviene per posta all’indirizzo del destinatario, tuttavia in pratica le direttive, avendo sempre per destinatari gli Stati, vengono notificate alle rappresentanze permanenti presso le Comunità.
La pubblicazione viene effettuata nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, istituita con decisione del Consiglio del 15 settembre 1958, che ha sostituito anche la Gazzetta ufficiale della CECA, pubblicata a partire dal 30 dicembre 1952. Alla pubblicazione (in tutte le lingue ufficiali della Comunità, che ora sono undici: v. sotto) provvede l’Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee con sede a Lussemburgo.
A partire dal primo numero del 1968 la Gazzetta è divisa in due serie: la serie L (legislazione) e la serie C (Comunicazioni e informazioni). Nel 1978 è stata aggiunta la serie S (Supplementi), nella quale vengono pubblicati, tra l’altro, i bandi relativi agli appalti pubblici. Nella serie L sono pubblicati i regolamenti CE ed Euratom e le decisioni generali CECA (spesso anche gli accordi internazionali particolarmente importanti per la Comunità) che costituiscono la parte I. La parte II accoglie tutti gli altri atti tipici della Comunità (per la CE, quelli previsti nell’art. 249).
c) Entrata in vigore. Per entrata in vigore s’intende la produzione di effetti giuridici, il momento in cui nascono i diritti e gli obblighi che discendono dall’atto giuridico.
Per quanto riguarda i regolamenti, l’art. 254 (già 191), comma 1, CE e l’art. 163, comma 1, Euratom dispongono che «essi entrano in vigore alla data da essi stabilita ovvero, in mancanza, nel ventesimo giorno successivo alla loro pubblicazione».
Le direttive e le decisioni CE e Euratom hanno efficacia, come si è detto, in virtù della loro notificazione.
Vi è però da tener presente una particolarità che si manifesta al momento dell’applicazione delle norme, quando è prescritto che entrino in vigore immediatamente. La giurisprudenza suole distinguere tra norme di procedura e norme materiali, applicando le prime sin dalla loro entrata in vigore e le seconde solamente «in caso di necessità imperiosa, derivante particolarmente dall’obbligo di evitare un vuoto giuridico o di prevenire delle speculazioni» (CGCE 31-I-1979, causa 127/78, Raccolta, p. 171) e facendo salvi in ogni caso i diritti previsti eventualmente sorti (CGCE 4-VII-1973, causa 1/73 Raccolta, p. 723).
d) Gli atti giuridici della Comunità sono sottoposti al regime linguistico stabilito dal regolamento n. 1 del Consiglio del 15-IV-1958. Questo atto aveva inizialmente indicato come lingue ufficiali e di lavoro della Comunità il tedesco, il francese, l’italiano ed il nederlandese (lingua ufficiale, insieme al francese, anche per il Belgio).
Con l’estensione della Comunità, alle primitive lingue ufficiali si sono aggiunti l’inglese, il danese, il greco, lo spagnolo, il portoghese, lo svedese e il finlandese per un totale di undici. Si tratta del numero corrispondente ai membri della Comunità diminuito di quattro: la diminuzione è dovuta per una unità al fatto che due Stati (la Germania e l’Austria) hanno la stessa lingua e per un’altra alla circostanza che il Belgio ha due lingue che sono ufficiali anche in altri paesi. A ciò si aggiunge – sono le altre due unità che fanno scendere il numero da 15 a 11 – che il lussemburghese non ha rivendicato lo statuto comunitario (solo a partire dal 1984 è infatti lingua nazionale del paese) e che l’antica lingua dell’Irlanda, il gaelico, è «ufficiale» solo per quanto riguarda il testo del Trattato e – cosa che finora non si è verificata – come lingua processuale, essendo per tutto il resto sostituita dall’inglese, l’altra lingua ufficiale del paese (vengono tuttavia sporadicamente pubblicati in gaelico dei numeri della GUCE contenenti testi che fanno fede).
Nelle procedure avanti la Corte di Giustizia la lingua processuale, in linea di principio, è scelta dal ricorrente, tuttavia i giudici e gli avvocati generali possono servirsi di una lingua diversa (generalmente il francese). Le sentenze sono redatte nella lingua del processo.
Tutti i trattati comunitari prevedono sanzioni nei confronti dei singoli e delle imprese, allo scopo di costringerli ad adempiere ai loro obblighi comunitari. Le sanzioni previste dal diritto comunitario sono le ammende, le penalità di mora e gli interessi di mora (ad esempio articolo 83, paragrafo 2, CE; articolo 65, paragrafo 5, CECA; altre sanzioni sono previste dall’art. 83 Euratom). Le<tk;4> ammende <tk;1>sono inflitte per violazione delle norme del trattato o di quelle del diritto derivato; le<tk;4> penalità di mora <tk;1>hanno lo scopo di costringere gli interessati all’osservanza delle norme del trattato. Infine gli<tk;4> interessi di mora <tk;1>sanzionano l’inadempimento di obblighi pecuniari nei confronti della Comunità.
Ai sensi dell’articolo 256 (già 192), comma 1, dell’articolo 244 (già 187) CE e dell’articolo 159 Euratom, le decisioni del Consiglio o della Commissione che importano un obbligo pecuniario costituiscono titolo esecutivo al pari delle sentenze della Corte di giustizia.
L’esecuzione è regolata dall’art. 256 (già 192). Non disponendo di un potere coercitivo proprio, la Comunità deve servirsi delle procedure nazionali. Essa può essere sospesa soltanto in forza di una sentenza della CGCE (art. 256, 4o comma).
e) Accesso ai documenti. È regolato, ora, dall’art. 255 il cui primo comma dispone: «Qualsiasi cittadino dell’Unione e qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione, secondo i principi e alle condizioni da definire a norma dei paragrafi 2 e 3».
L’art. 255 prevede l’emanazione di una normativa di carattere generale da parte del Consiglio e di regolamenti per disciplinare l’accesso ad opera di ciascuna delle tre istituzioni contemplate (la norma non vale per la Corte di giustizia e per la Corte dei conti). In ogni caso il godimento del diritto è limitato alle persone indicate nella norma: i non cittadini che risiedono in un paese terzo non lo hanno.
Un’altra limitazione risulta dal fatto che il diritto può essere esercitato solo su documenti «prodotti» dalle istituzioni contemplate e non su quelli detenuti da esse ma redatti da persone o organismi differenti.