Nel linguaggio ordinario, i termini tributo, imposta, tassa, contributo ed altri sono in sostanza, semanticamente equivalenti; in sede giuridica tali termini, sono specialistici. La definizione di tributo è affidata all’interprete. Per ripercorrere sommariamente le tappe dell’evoluzione dottrinale, si può cominciare col ricordare che, nelle prime elaborazioni dei giuristi, la nozione di tributo è influenzata dagli studi di scienza delle finanze: tali studi distinguono le entrate pubbliche in relazione al tipo di spese pubbliche che servono a finanziare. Essendovi spese pubbliche indivisibili e divisibili, le entrate destinate a finanziare le spese indivisibili sono dette imposte, mentre le entrate destinate a finanziare quelle divisibili sono dette tasse.
Oltre che l’impostazione degli studi di scienza delle finanze, sui giuristi italiani ha operato l’influenza della dottrina tedesca del diritto pubblico che, caratterizzava il tributo come espressione di sovranità. Da qui nasce il tributo come entrata coattiva o autoritativa, ossia un’entrata la cui obbligatorietà è imposta con un atto dell’autorità, senza che vi concorra la volontà dell’obbligato. La coattività, distingue, dunque il tributo dalle entrate di diritto privato; essa è però carattere tipico ma non esclusivo del tributo. Perciò il tributo viene definito in base ai seguenti ulteriori caratteri distintivi:
a) dal punto di vista degli effetti il tributo comporta il sorgere di una obbligazione di pagamento a titolo definitivo;
b) dal punto di vista della fattispecie, il tributo si collega ad un fatto di natura economica. Ciò consente, tra l’altro, di distinguere il tributo dalle sanzioni pecuniari, che pure si risolvono in prestazioni pecuniarie imposte autoritativamente, ma derivano da fattispecie assunte come illeciti;
c) dal punto di vista funzionale, il tributo è definito come un istituto la cui finalità è essenzialmente fiscale, ossia di procurare un’entrata ad un ente pubblico.