Gli indici di capacità contributiva
Per dare concretezza al concetto di capacità contributiva, non basta dire che esprimono capacità contributiva i fatti economici (e non basta escludere i fatti non economici). Occorre anche indicare quali fatti economici esprimono capacità contributiva. Dal punto di vista qualitativo il sacrificio patrimoniale che viene imposto ai consociati deve essere rapportato alla idoneità che il singolo mostra di potersi privare di una parte dei propri averi per metterla a disposizione della collettività. Non è perciò indice di capacità contributiva un reddito minimo. Il fatto espressivo di capacità contributiva per eccellenza è il reddito. Ed il reddito complessivo delle persone fisiche, al netto, non solo delle spese di produzione, ma anche di particolari oneri (personali e familiari), si presta, più di ogni altra forma di ricchezza, a rispecchiare la capacità contributiva, non solo specifica, ma anche globale delle persone, ed a fungere da base di commisurazione dell’imposta progressiva del reddito globale. Insieme con il reddito, sono considerati indici diretti di capacità contributiva il patrimonio e gli incrementi di valore del patrimonio. Sono, invece, indici indiretti il consumo e gli affari. Se, in generale, il consumo di beni o servizi è indice di capacità contributiva perché implica disponibilità economica, ciò non vale per ogni consumo. Altro indice indiretto è il trasferimento di un bene.
Capacità contributiva, uguaglianza e ragionevolezza
La legge tributaria deve trattare in modo uguale i fatti economici che esprimono pari capacità contributiva, e deve trattare in modo differenziato i fatti che esprimono capacità contributiva in modo differenziato. In tal modo, il principio di capacità contributiva integra il principio di uguaglianza. Il sindacato della Corte Costituzionale, in materia di uguaglianza, è legato alle seguenti massime:
1) il principio di uguaglianza postula trattamenti uguali di situazioni uguali, trattamenti diversi di situazioni diverse;
2) spetta al legislatore nella sua discrezionalità stabilire se due situazioni sono uguali o diverse;
3) la Corte può sindacare le scelte discrezionali del legislatore se queste sono irragionevoli; il limite alla discrezionalità del legislatore è la ragionevolezza e la Corte può intervenire quando le differenziazioni sono irragionevoli.
La ragionevolezza come coerenza della legge
Il principio di uguaglianza esige che la legge non detti discipline contraddittorie; esige, cioè, coerenza interna alla legge. Si parla di coerenza interna perché ci si riferisce ai casi nei quali la contraddizione emerge rispetto a situazioni che lo stesso legislatore mostra di considerare eguali.