La struttura dell’imposta. Per quanto concerne la struttura, la fattispecie tipica di un’imposta si riduce ad un elemento oggettivo e ad un elemento soggettivo: il primo è dato da un fatto o da un insieme di fatti che siano idonei ad esprimere una determinata capacità contributiva del soggetto (oggetto imponibile in senso lato); il secondo è dato dalla duplice individuazione da una parte del soggetto passivo, al quale si collegano gli elementi di fatto oggettivi, e dall’altra parte del soggetto attivo, ossia l’ente impositore.
Il presupposto d’imposta
Il presupposto è quel fatto economicamente rilevante che giustifica l’applicazione di una determinata imposta.
I fatti economicamente rilevanti, presi per lo più in considerazione dalla legge tributaria, sono il patrimonio (ricchezza posseduta), il reddito (ricchezza acquisita), il trasferimento, il consumo di ricchezza.
La semplificazione dei concetti in diritto tributario
La norma giuridica non può mai, in generale, pervenire ad un completo e rigoroso sistema di definizioni, perché l’esigenza della pratica applicazione della legge richiede sempre un riferimento a comportamenti pratici degli uomini.
Perciò nella definizione dell’imposta assume grande importanza la semplificazione dei concetti, la riduzione cioè di un concetto astratto di fatto tassabile ad ipotesi specifiche.
Definizioni e casistiche nella previsione dei fatti tassabili
Ma un’imposta solo applicabile, fatta di casistiche, farebbe perdere di vista la giustificazione economica del tributo.
L’assimilazione consiste nel ricondurre in una categoria ipotesi anche estranee, ma solo allo scopo di prevedere un trattamento tributario.
La prevalente natura tecnica delle leggi tributarie rende ardua la ricerca dell’oggetto tassabile al di fuori delle specifiche previsioni di legge: di qua il problema dell’interpretazione analogica.
La tecnica legislativa si caratterizza dunque per un’esasperante analiticità che arriva alla casistica.
Al verificarsi di un certo presupposto tributario, si richiede da parte del contribuente l’immediata riconoscibilità del fatto come presupposto, allo scopo di dichiararlo all’amministrazione finanziaria.
I casi incerti in diritto tributario vengono risolti per lo più dalla legge, non dalla giurisprudenza.
Le definizioni negative: esclusioni ed esenzioni
Il problema dell’interpretazione analogica delle leggi tributarie si pone non tanto per un divieto, che non esiste nell’ordinamento tributario, ma perché l’analogia è tecnicamente impossibile rispetto a quelle norme che la dottrina chiama a “fattispecie esclusiva”, che non lasciano intravedere una ratio.
Si chiamano esenzioni le eccezioni alla regola, secondo la quale quella cosa (eccezione oggettiva) o quella persona (eccezioni soggettive) dovrebbero essere tassate.
L’esenzione persegue interessi diversi da quelli fiscali.
La disuguaglianza è costituzionalmente legittima se il fine cui essa è preordinata è costituzionalmente degno di tutela: istruzione, cultura, beneficenza, risparmio, sviluppo economico, etc.
L’esclusione invece è la previsione negativa che non è eccezione alla regola, ma semplicemente chiarisce meglio la portata della regola.
La norma di esenzione, come norma eccezionale, non può essere interpretata analogicamente; la giurisprudenza ne ammette l’interpretazione estensiva.
I soggetti passivi: persone fisiche e persone giuridiche. Enti non riconosciuti, sostituto e responsabile d’imposta
Il contribuente è il soggetto passivo nei cui confronti si verifica il presupposto tipico di un’imposta.
Possono esser soggetti passivi:
le persone fisiche;
le persone giuridiche che sono fornite di personalità giuridica secondo il diritto comune;
soggetti diversi dalle persone fisiche, privi di personalità giuridica, purché si tratti di organizzazioni di beni o di persone, non riconducibili ad altre persone giuridiche, nei cui confronti il presupposto si verifichi in modo unitario (capace cioè di attuarsi nei confronti dell’insieme dei beni e delle persone) ed autonomo (suscettibile cioè di verificarsi senza alcun rapporto con altri soggetti);
soggetti passivi che non siano i contribuenti (soggetti cui si riferisce il presupposto): abbiamo la figura del sostituto d’imposta, il quale è effettivamente debitore verso il fisco (il sostituto non solo è tenuto a pagare l’imposta ma anche a rivalersi verso il reddituario: la rivalsa ha lo scopo di ristabilire la regola costituzionale secondo la quale l’imposta deve esser pagata dal soggetto che realizza il presupposto).
Inoltre la legge tributaria può affiancare al contribuente altri soggetti che si trovano con lui in un qualche rapporto giuridico od economico, allo scopo di rafforzare il credito d’imposta: la legge parla di responsabile d’imposta.
Il responsabile non si sostituisce al contribuente, ma piuttosto assicura l’adempimento del tributo; il responsabile non può sopportare il debito d’imposta ed anche per tale soggetto dovrebbe valere la regola secondo la quale un patto contrario alla rivalsa sia nullo in quanto contrario al principio di capacità contributiva (53 Cost.);
gli eredi: il debito tributario, come tutti i debiti, si trasmette ad essi, i quali rispondono solidalmente verso il fisco secondo una norma che viene ritenuta applicabile a tutti i tributi, come regola generale.
È una deroga alle regole del codice civile, che prevede la trasmissibilità pro quota.
I soggetti attivi: lo Stato e gli altri enti impositori
Soggetti attivi sono lo Stato, i Comuni, le Province, le Regioni, le Aree metropolitane, le Camere di commercio, le Aziende di cura e di soggiorno e turismo, le comunità israelitiche.
Gli enti locali Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (119 Cost.); però solo la Regione ha potestà legislativa, per cui si pone il problema di come gli altri enti locali possano stabilire i rispettivi tributi propri.
Mentre le Regioni hanno il potere di intervenire con legge per l’esercizio dei loro poteri, gli enti locali possono solo applicare tributi istituiti dallo Stato e, nei limiti consentiti, dalla Regione.
Le norme di valutazione: il parametro o base imponibile
La somma oggetto dell’imposta si determina applicando una certa aliquota o tasso d’imposta ad una grandezza chiamata parametro o base imponibile, che si ottiene dalla traduzione in termini monetari di un elemento della fattispecie d’imposta.
Mentre la determinazione dell’imposta, data dall’applicazione dell’aliquota, è operazione di automatica facilità, risolvendosi in un’operazione aritmetica, la determinazione della base imponibile è oggetto di una complessa attività, detta accertamento.
La legge tributaria segue diversi metodi nella determinazione della base imponibile:
può dettare criteri propri, come quando stabilisce che il reddito dei fondi sia determinato col sistema catastale, un sistema che fornisce il reddito medio ordinario e non il reddito effettivo dei fondi;
può rinviare a criteri tecnici, come quando assume le valutazioni dell’economia aziendale;
può introdurre correttivi ad altre regole, come quando stabilisce che il reddito d’impresa si determina in base al conto economico ma con le variazioni stabilite dalla legge tributaria;
può rinviare per l’accertamento della base imponibile di un tributo all’accertamento di un altro tributo, che riguardi però lo stesso oggetto tassabile.
Per la determinazione della base imponibile la legge tributaria può insomma od inseguire la realtà effettiva, od assumere criteri presuntivi, criteri di media: nel primo caso prevale il criterio della razionalità, nel secondo quello della semplificazione.
Queste semplificazioni si legittimano costituzionalmente solo se rispondono alla comune esperienza.
Le norme probatorie: le presunzioni fiscali
Nella fattispecie tributaria vanno distinte le norme di definizione del fatto tassabile da quelle probatorie, da quelle cioè che hanno la funzione non di descrivere ma di rappresentare il fatto tassabile.
Vi è differenza tra un fatto posto a base dell’imposta ed un fatto dal quale va desunto il primo.
In genere tutti i fatti sono idonei a provare il fatto tassabile (“in base agli elementi comunque raccolti”).
Il problema delicato nella materia in esame è dato dall’uso e dall’abuso delle presunzioni fiscali.
Quando la presunzione è relativa, essa produce solo l’inversione dell’onere della prova, che di regola incombe alla finanza.
Quando è prevista una presunzione fiscale è sufficiente che l’amministrazione provi il fatto rappresentativo del fatto tassabile, con la conseguenza che tocca al contribuente fornire la prova contraria.
Non ci troviamo più di fronte a prove quando invece la presunzione è assoluta: non è ammessa la prova contraria.
Le norme antielusive
L’elusione fiscale consiste in atti, fatti, negozi, anche collegati fra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere rimborsi o riduzioni di imposte, altrimenti indebiti.
Le norme antielusive sono quelle che individuano specifici atti che, avendo le caratteristiche sopra dette, sono inopponibili all’Amministrazione finanziaria, pur conservando la loro validità civilistica.