I Pithanà di Labeone (che noi conosciamo quasi solo tramite un’epitome di Paolo) si presentano tutti come “proposizioni” traenti valore persuasivo dal loro stesso carattere ed esse consistono in enunciati ed affermazioni in forma condizionale non argomentate né motivate. Bretone in un’opera del 1982 sembra sostenere che questo tipo di enunciati costituisca la migliore prova della tendenza della giurisprudenza classica a proporre fattispecie astratte (e non “casi”) Talamanca in una sua opera del 1977 aveva scritto che in quest’opera è importante come materiale casistico e relativa metodologia si vengano atteggiando. Sempre per Talamanca, nell’opera si manifestano 2 momenti: la tendenza verso l’astrazione (che si manifesta con la riduzione agli elementi essenziali del caso) e la mancanza di ogni accenno alle motivazioni sottointendenti le singole decisioni. Ora, Cannata sembra giungere alle stesse conclusioni, sostenendo (come Bretone) che la regola che emerge dalle proposizioni dei Pithanà è una regola casistica (in quanto rappresenta la tipizzazione d’un caso concreto con la sua soluzione). Ora, le massime raccolte nei Pithanà sono proposte come “probabili” in quanto indicative del diritto individuato fin a quel momento in rapporto alla struttura dei casi esaminati, ma sono suscettibili d’esser sottoposte a correzione quando risulti l’inadeguatezza a tener conto di ogni elemento qualificante in rapporto a casi uguali o simili. Individuati questi elementi, potrà formarsi una nuova regola (di ambito più generale ovvero più specifico ovvero di segno opposto): infatti Paolo spesso adotta un tono risoluto nel riferire che la regola di Labeone è da considerarsi errata, ma solo perchè è richiesto dalla particolare natura dell’enunciazione commentata, che può esser corretta con una nuova enunciazione con le stesse caratteristiche.