In base alle testimonianze di cui disponiamo possiamo dire che si ebbero alcuni processi popolari promossi dai tribuni e delle quaestiones extraordinariae istituite per plebiscito.

Questa situazione si protrasse fino al 149 a.C. quando il tribuno della plebe Calpurnio Pisone Frugi fece approvare la «lex Calpurnia de repetundis», in forza della quale le accuse di estorsione mosse contro i magistrati romani dovevano essere portate dinanzi a una corte di giustizia permanente presieduta dal praetor peregrinus e formata da giurati di rango senatorio, probabilmente recuperatores.

I dettagli della legge ci sono ignoti, ma si può supporre che essa abbia confermato il sistema adottato nei processi del 171, configurando il giudizio dinanzi alla corte come un procedimento di carattere essenzialmente privato, diretto all’indennizzo dei danneggiati piuttosto che alla persecuzione di un crimine, e promovibile solo con l’assistenza di patroni romani.

A tale regime non sembra aver apportato sostanziali modifiche una successiva lex Iunia, proposta dal tribuno della plebe Giunio Silano, della quale le fonti ci dicono che confermò la procedura per sacramentum della lex Calpurnia.

L’istituzione di una corte di giustizia permanente offrì alle popolazioni soggette la garanzia di un organo stabile per la persecuzione delle malefatte dei governatori, ma tornò utile anche alla nobilitas, che poté in tal modo evitare i rischi dei processi popolari tribunizi e delle quaestiones istituite per plebiscito.

Un radicale mutamento della politica giudiziaria nei confronti delle malversazioni perpetrate ai danni delle popolazioni soggette si registra negli anni 123-122 a.C., nel quadro dell’ampia attività riformatrice di Gaio Gracco. Risale a questo periodo la lex Acilia repetundarum che aggravò il rigore dei giudizi di concussione istituendo il primo vero tribunale criminale permanente per giudicare dell’operato illegale dei magistrati.

Il provvedimento aciliano fu probabilmente preceduto da una legge giudiziaria generale, la lex Sempronia iudiciaria, con cui fu tolto l’ufficio di giudice ai senatori per attribuirlo ai cavalieri, favorendoli in tal modo nell’intento di farne una forza concorrente alla nobilitas.

La lex Acilia segna una tappa fondamentale nella storia della repressione del crimen repetundarum. Con essa le concussioni commesse dai magistrati furono per la prima volta attratte nell’orbita del diritto penale pubblico, assumendo la natura di un vero e proprio reato.

Il processo fu organizzato secondo un rito nuovo, di impronta pubblicistica. In luogo della restituzione del maltolto, fu sancita a carico dei concussionari una pena criminale, commisurata al doppio del valore delle cose estorte, che doveva essere versata al questore e per suo tramite all’erario, che doveva poi provvedere al rimborso dei danneggiati.

La direzione del processo fu affidata ad uno speciale pretore, denominato praetor (de) repetundis, che entro il 10° giorno dalla sua entrata in carica, era tenuto a formare una lista di 450 giudici, scelti tra i cavalieri, e a disporne la pubblicazione su un apposito albo. Il pretore doveva poi leggere l’elenco dei giudici in una pubblica adunanza, garantendo sotto giuramento di averlo compilato nei modi prescritti e di ritenere idonei alla carica le persone in esso inserite.

Dai 450 giudici compresi nell’albo veniva tratta la giuria per il singolo processo. Espunte le persone legate alle parti da parentela o altri vincoli, l’accusatore doveva scegliere 100 nominativi e comunicarli all’accusato, il quale a sua volta sceglieva entro quei 100 i 50 che dovevano comporre il collegio giudicante.

L’accusa poteva essere promossa personalmente dai danneggiati, e l’assegnazione dei patroni aveva luogo solo se essi ne facevano esplicita richiesta. Al fine di evitare che le minacce o le pressioni di chi temeva di essere denunciato potessero precludere di fatto agli offesi le vie giudiziali, la legge prevedeva che il giudizio potesse anche essere promosso alieno nomine: consentiva a chiunque di denunciare il reato in nome e per conto della vittima, senza che fosse richiesta alcuna autorizzazione o accettazione della vittima stessa, e stabiliva in caso di condanna l’attribuzione delle somme fissate dalla corte ai danneggiati.

Eccezionalmente, per il caso di denuncia presentata in una fase troppo avanzata dell’anno, era previsto in alternativa alla quaestio un procedimento più rapido, di carattere privato.

La decisione era presa a maggioranza. Prima di passare alla votazione, il presidente della quaestio domandava se i giudici erano in grado di pronunciarsi. Se più di un terzo dei giudici dichiarava di non essere riuscito a formarsi un’opinione, il dibattimento doveva essere ripetuto, ma era stabilita l’irrogazione di una multa a carico di coloro che persistessero nel rifiuto di decidere.

  • Diversamente, si faceva luogo alla votazione. In caso di condanna l’accusatore:
  • se peregrino: otteneva in premio la cittadinanza romana accompagnata dall’iscrizione nella tribù del condannato e della vacatio militiae
  • se latino: la cittadinanza o la provocatio ad populum, più la vacatio militiae e l’esenzione dai munera publica nella città di appartenenza.

Alla condanna faceva seguito un’ulteriore fase processuale, di natura civilistica, volta a determinare l’ammontare delle somme che dovevano essere restituite ai singoli danneggiati.

Notevoli sono pertanto le differenze tra la struttura del tribunale calpurniano e il modello di corte giudicante introdotto da Gaio Gracco. Egli inoltre intervenne in modo determinante nell’evoluzione dei giudizi pubblici, attraverso una lex de capite civis, con cui prescrisse che nessun tribunale potesse giudicare della vita e della morte di un cittadino senza autorizzazione del popolo, rendendo di conseguenza illegittima ogni corte di giustizia capitale non istituita per legge o per plebiscito.

La norma mirava a stroncare la pratica sempre più diffusa delle quaestiones ex del senatus consulto, e in particolare a colpire coloro che avevano preso parte ai processi instaurati 9 anni prima contro i seguaci di Tiberio Gracco. Le testimonianze pervenuteci mostrano che il provvedimento produsse gli effetti desiderati.

A partire da questa data non abbiamo più notizie di quaestiones istituite mediante il senatoconsulto, e le procedure ex tra ordinem ricordate dalle fonti risultano tutte poste in essere con la partecipazione del popolo.

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