Dagli studi sull’amministrazione della giustizia criminale nella Roma dei re risulta un raro intervento della comunità nella repressione dei crimini, lasciata la reazione degli offesi e spesso temperata dal legge del taglione e dalla consuetudine del riscatto.

L’intervento dello Stato riguarda esclusivamente casi particolari, nei quali il fatto criminoso appare come un’infrazione alla pax deorum. Il custode della pace con gli dei è il re, il quale applica sanzioni religiose nei confronti di chi, con il suo comportamento, espone l’intero gruppo alla collera divina.

Le legis regiae, risalenti ai contemporanei di Augusto, conservano ampie tracce di un sistema punitivo fondato sull’espiazione sacrale. L’esistenza di dette leggi è stata più volte messa in dubbio prima del dato epigrafico contenuto nel lapis Niger di Comizio, il quale prova l’esistenza di leggi scritte sotto forma di precetti religiosi.

La contraria opinione tempo fa dominante muoveva dall’assunto che la raccolta di statuizione regie, che alla fine della Repubblica circolava sotto il nome di Ius Papirianum, fosse una pubblicazione apocrifa redatta in epoca molto più tarda di quella prevista dalla tradizione, e che comunque l’esistenza di leggi rogate dal re e votate dall’assemblea popolare dovesse decisamente escludersi, essendo i comitia curata privi di competenza legislativa. Tale obiezione risulta infondata poiché le leggi regie sono state qualificate come ordinanze emanate dal sovrano in forza del proprio imperio e non sarebbero pertanto qualificabili come leges rogatae.

Le legis regiae sono state qualificate dalla moderna critica come le fonti più antiche del diritto criminale Romano, trattandosi di precetti dal contenuto religioso emanati da un sovrano che cumula la duplice funzione di sommo sacerdote e capo politico. Queste leggi non configurano un sistema organico di norme, ma lasciano ampio spazio alla libera coercizione del monarca ed alla persecuzione privata. Generalmente, tali leggi, prescrivono o vietano determinati atti ed enunciano le relative sanzioni sacrali per il trasgressore, oppure regolano l’esercizio della vendetta da parte del legittimato.

Spesso la normativa regia si limita ad accogliere gli antichi mores gentilizi come, ad esempio, la legge che consente al marito di punire l’adulterio moglie con la morte. Ma il più delle volte l’antica persecuzione familiare o di gruppo cede il posto alla persecuzione statale fondata sull’espiazione religiosa.

Le infrazioni di minor rilievo, note come scelus expiabile, comportano per il trasgressore l’obbligo di un’offerta espiatoria, il piaculum, consistente nel sacrificio di un animale o nella devoluzione di un’entità patrimoniale a profitto del culto della divinità offesa.

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