Secondo Vacca, occorre distinguere l’utilizzo della analogia nell’ambito della “creazione” del diritto nell’interpretatio prudentium (in questo caso l’analogia opera come “strumento logico-argomentativo di un diritto giurisprudenziale) dal problema invece che l’imposizione del criterio analogico può comportare nell’ambito dell’”applicazione” del diritto da parte dei magistrati/giudici/funzionari. (qui l’analogia opera come “criterio d’applicazione della legge in un sistema normativo”). Riferendosi all’ordinamento romano classico, i 2 modi di produzione del diritto si è già visto operare su piani differenti ma comunque intrecciarsi costantemente: ragion per cui può risultare problematico distinguere l’analogia applicata nel diritto giurisprudenziale e quella invece applicata nel sistema normativo. Allo stesso modo però, rappresentare questo sistema come “misto” sarebbe fuorviante (in quanto ogni sistema è così: non esiste un sistema in cui la produzione del diritto si riconduca solo a norme di legge o all’interpretatio).
Il carattere scriminante tra i diversi sistemi giuridici si può allora individuare analizzando concretamente la maggiore o minore autonomia dei giuristi-interpreti rispetto alla singola norma ovvero al complesso di norme esistenti (ciò però implica verificare se nel formulare le loro soluzioni i giuristi si rappresentino sul piano logico-euristico il diritto come formato solo da norme da applicare, con conseguenza che se manca la norma specifica vi è “lacuna” da colmare deducendo la soluzione da altra norma ovvero individuano nelle singole norme dei “modelli” da usare per risolvere i singoli casi). In pratica, in un sistema in cui fonte primaria è la legge, i giuristi devono “applicarla” non potendo motivare le loro decisioni ricorrendo a fonti etero prodotte; invero in un diritto casistico-giurisprudenziale il giurista dovrà “trovare” il principio da applicare, individuando la “ratio decidendi” del singolo caso in rapporto di analogia o differenziazione con le rationes che reggono norme/soluzioni precedenti. Di conseguenza si sostiene che l’evoluzione del diritto privato romano sino a tutto il periodo classico deve esser considerata il prodotto di un diritto giurisprudenziale.
L’analogia moderna è diversa allora da quella dell’ordinamento romano: infatti quella attuale non si confà né all’applicazione analogica del magistrato giusdicente (perchè in questo caso il magistrato deve solo attenersi al “significato sostanziale o processuale della norma”, come deriva dalle costituzioni del Principe o dalle soluzioni giurisprudenziali) né al procedimento argomentativo usato dai giureconsulti nell’estensione a casi simili di una certa soluzione (perchè il “carattere aperto dell’ordinamento romano classico”, non consente di fare una equiparazione con l’attualità).
Gallo quindi sottolinea che il criterio analogico interessa l’attività di chi è chiamato ad applicare il dir, ma non di chi lo produce. Secondo Vacca questa affermazione è valida non solo nel rapporto legge-interprete in un sistema giustinianeo che vede solo la legge come fonte primaria, ma anche con riferimento alla differenza fra Principe-interprete-legislatore e da un lato i giuristi e dall’altro gli operatori che “applicano il diritto a livello giudiziario. In questo modo si spiega che il criterio analogico introdotto da Adriano come limite all’applicazione del diritto da parte di magistrati/giudici (che son da ora subordinati a leggi, senatoconsulti, editto), è invero un limite ininfluente per quanto riguarda le soluzioni derivanti dall’autorità Principis (in quanto a volte è lo stesso Principe a richiamare all’analogia con certe soluzioni già individuate per situazioni simili, ovvero altre volte introduce nuova disciplina per situazioni apparentemente analoghe a quelle già diversamente disciplinate nonché per le soluzioni giurisprudenziali (il giurista, se lo vuole, potrà usare il ragionamento analogico, che è comunque anche “categoria logico-interpretativa” e non necessariamente “strumento applicativo di norme” , per individuare la soluzione “giusta. Sicuramente è stilizzatissimo il ragionamento analogico, come dice Mortari).
Nel diritto codificato, Secondo Vacca, il ragionamento analogico rappresenta un limite esterno all’interpretazione (in quanto l’interprete deve comunque individuare una norma di riferimento ed applicarla, deducendo dalla sua ratio il criterio decisionale per il caso simile non previsto); invece in un diritto casistico-giurisprudenziale, ricorrere a questo criterio è una necessità implicata dalla stessa struttura dal diritto casistico, la cui essenza si individua nel ragionare “case to case” (l’interprete che vuol trovare la soluzione deve verificare, nella “diagnosi” degli elementi qualificanti il caso stesso, le analogie/differenze non solo rispetto alle fattispecie previste dalla norme, ma specie rispetto ai casi già decisi nell’ambito della stessa interpretatio giurisprudenziale).
Ora, nel momento del definitivo accentramento del potere nelle mani del Principe con Adriano e quindi l’idea che la produzione del diritto si riconduca a norme emananti dall’autorità imperiale o da essa autorizzate, si pone il problema della legittimazione della fonte di produzione giurisprudenziale e il suo inserimento nel sistema normativo: per Vacca vi è un tentativo consapevole di Adriano di ricondurre tutta la produzione del diritto (anche l’interpretatio giurisprudenziale) alla “produzione normativa”: questo rappresenta il 1° tentativo di creare una gerarchia delle fonti e di separare, distinguendone l’efficacia, le norme dalla loro interpretazione. E’ però un tentativo ancora incerto, in quanto lo stesso Principe oscilla nella sua attività normativa a volte come interprete (esempio: con la diffusione dei rescripta, che rappresentano le forme di manifestazione della volontà imperiale a cui si da valore normativo, in quanto chiamate a sostituire i responsa dei giuristi. Questi rescripta a volte hanno valore solo per il caso per cui sono rilasciate, invero altre volte mirano a disciplinare tutti i casi simili cosiddetti ”generale re scriptum”. Secondo Norr però, questi rescritti non hanno il carattere della lex bensì quelli dell’exemplum, quindi per estenderli a casi simili, serve comunque un’operazione interpretativa diversa dalla mera applicazione, rivolta a distinguere i casi in cui questo exemplum può esser seguito dai casi che essendo invece qualificati da elementi di fatto differenti, richiedono soluzione diversa) a volte come legislatore. Tuttavia le tecniche di produzione dello ius rimangono ancorate al sapere specialistico/esclusivo dei giureconsulti e quindi del diritto come casistico-giurisprudenziale.