Il discorso sulla forma di Governo è molto complesso, specie se si considera che è stato introdotto un regime costituzionale derogabile da parte delle stesse Regioni.
Prima della riforma del 99 infatti spettava alla Costituzione predisporre il tipo di rapporto tra legislativo ed esecutivo regionale e si rimandava ad una legge statale per la determinazione del sistema elettorale, lasciando agli statuti solo la predisposizione delle norme di contorno.
Nelle Regioni a statuto ordinario, prima della riforma, la forma di Governo era definita “parlamentare a tendenza assembleare”, proprio perché il Consiglio era posto in una posizione di supremazia rispetto all’esecutivo, mentre nelle Regioni a statuto speciale si parlava di forma di Governo “parlamentare a tendenza equilibratrice”, proprio a indicare la posizione di parità in cui i due organi si trovavano.
Per quanto concerne le Regioni a statuto ordinario, la radicale innovazione si mitiga se si considera che aspetti importanti della forma di Governo sono sottratte alla esclusiva determinazione statutaria.
Ciò con particolare riguardo alla materia elettorale. L’art 122 Ic stabilisce che si tratti di una di quelle materie che rientrano nella potestà ripartita concorrente.
Si nota tuttavia che vi sia un accavallamento di discipline, in seno allo stesso arti 122, in particolare tra il Ic e l’u.c.
Sarebbe l’ideale far sì che l’intera disciplina transitasse nella categoria di quelle la cui potestà spetta interamente alle Regioni, ma intanto l’unica soluzione possibile, per evitare appunto una confusione di atti che si sovrappongono è che la legge quadro, prevista dal succitato comma 1, si presenti come il più generale possibile, per essere compatibile con i diversi regimi statutari.
Il modello proposto dalla Costituzione potrebbe definirsi come ibrido, rifacendosi per un verso al modello presidenziale poiché prevede l’elezione diretta del Presidente, ma al tempo stesso ad un modello parlamentare prevedendo il persistere del rapporto di fiducia tra legislativo ed esecutivo.
Per quanto riguarda le Regioni che decidessero di “affrancarsi” dal modello costituzionale, esse incontrano naturalmente dei limiti.
Fermo restando quanto giĂ esposto circo il modello elettorale, esse non potrebbero optare per una forma di Governo direttoriale, vista la mancanza di un collegio, appunto di un direttorio.
Altri vincoli sono il rapporto fiduciario tra esecutivo e legislativo, nella possibilità di approvare una mozione di sfiducia, lo scioglimento del Consiglio e la rimozione del Presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge, lo scioglimento automatico del Consiglio nell’ipotesi di dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti
Inoltre non è possibile scindere la figura del Presidente della Giunta da quella del Presidente della Regione.
Ulteriore limite è l’obbligo di armonizzarsi con la Costituzione. Alla luce di tale limite appare dubbia la figura del Vicepresidente: se questi fosse scelto dal Presidente tra gli assessori, un’eventuale sostituzione provocherebbe il subentrare di un organo non elettivo. Né si potrebbe rendere questa carica elettiva perché si introdurrebbe un’inedita doppia candidatura che altererebbe il circuito dell’indirizzo politico come descritto dalla Costituzione.
Per quanto concerne le Regioni a statuto speciale, la riforma introdotta dalla L Costituzione 2/2001 pone regole simili per tutte le Regioni con qualche particolaritĂ per Trentino e Sicilia.
In Sicilia il Presidente è eletto a suffragio universale e diretto, contestualmente all’elezione dell’assemblea.
In Trentino il Consiglio regionale è composto dai membri dei Consigli provinciali di Trento e Bolzano e la legge provinciale, determina la forma di Governo e le modalità di elezione del Consiglio provinciale e del presidente della provincia.