L’utilizzazione e la tutela delle acque. Profili pubblicistici
Tutte le acque appartengono al demanio e le attività di ricerca, estrazione ed utilizzazione delle acque sotterranee sono tutelate dalla Pubblica Amministrazione, per cui per derivare ed utilizzare le acque è necessario ottenere una concessione di derivazione. La domanda deve essere rivolta direttamente al Ministro dei Lavori Pubblici e presentata all’Ufficio del genio civile che ne cura la pubblicazione con avviso nel Foglio degli annunzi legali delle Province. Tali domande passano poi al vaglio delle Autorità di Bacino che entro 40 giorni devono pronunciarsi. Le domande ed i provvedimenti di accoglimento devono essere pubblicate con il relativo progetto da un’ordinanza del genio civile che fa decorrere i termini per proporre eventuale opposizione o osservazioni. Conclusa l’istruttoria con esito favorevole si redige il disciplinare (atto concessorio) in cui sono indicati i dettagli, e il richiedente viene invitato alla sottoscrizione dello stesso, in seguito alla quale vi è il vero e proprio provvedimento di concessione che nel caso di grandi derivazioni è un decreto del Ministro dei Lavori pubblici d’intesa con il Ministro delle Finanze, mentre per le piccole derivazioni è un decreto del provveditore alle Opere pubbliche previo parere degli uffici regionali dell’Agenzia del demanio. Un T.U. del 1993 disciplina il caso in cui vi siano domande concorrenti, tuttavia sono criteri molto generici che fanno sorgere dei dubbi, ma in caso di richiedenti per usi industriali ha preferenza chi aderisce ai sistemi di sicurezza ISO 14001 oppure al sistema comunitario previsto da un regolamento CEE del 1993. Per ciò che riguarda la struttura del procedimento di concessione vi sono alcune tesi a confronto:
a) Negozio bilaterale. La domanda è un atto preparatorio e la sottoscrizione del disciplinare è il contratto vero e proprio (doppia manifestazione d volontà), tuttavia la sottoscrizione richiesta è solo quella del richiedente ed inoltre la P.A. può sempre modificare le condizioni.
b) Concessione-contratto. Vi sarebbe una reciprocità di obblighi e diritti.
c) Non sorge un rapporto commutativo. L’obbligo di pagare il canone sorge dalla legge.
In ogni caso le concessioni hanno un carattere temporaneo: i limiti sono 30 anni, oppure 40 anni per uso irriguo, salvo la materia delle concessioni idroelettriche. Gli organi competenti che vengono in rilievo sono innanzitutto le Regioni che fissano alcuni obblighi, e poi il Ministro dei Lavori pubblici che di concerto con altri ministri competenti e previa intesa con la Conferenza permanente Stato-Regioni-Province autonome detta le linee guida per la predisposizione del bilancio idrico di bacino ed i criteri per il censimento delle utilizzazioni in atto. Il contenuto e le modalità dell’utenza può modificarsi o estinguersi, per case naturali oppure per la creazione di opere di pubblico interesse (in tal caso è dovuto un indennità). L’utente inoltre può introdurre delle varianti che se sono sostanziali prevedono il ripetersi delle formalità per una nuova concessione, ma se sono non sostanziali si utilizza un procedimento concessorio semplificato. Il rapporto di utenza si estingue invece con la dichiarazione di decadenza (atto discrezionale della P.A.), causata da inadempimenti dell’utente; è stata inoltre ammessa la revoca in caso di contrasto con ragioni di interesse pubblico sia perché i provvedimenti amministrativi costitutivi sono sempre revocabili in caso di contrasto con l’interesse pubblico, sia perché ogni rapporto giuridico in relazione ai beni pubblici si risolve per impossibilità sopravvenuta dell’oggetto. Le ragioni di pubblico interesse posso attenere all’adeguata tutela degli usi generali e comuni di una determinata acqua pubblica e quelle di tutela dell’acqua pubblica come risorsa naturale.
La disciplina di tutela delle acque dall’inquinamento
La normativa italiana di riferimento in un primo momento era indirizzata esclusivamente a garantire la fruibilità delle acque compromessa dagli scarichi, infatti già nel 1933 fu prevista un’autorizzazione dell’Ufficio del Genio civile per la realizzazione di quelle opere che avrebbero modificato permanentemente gli alvei delle acque pubbliche e nel 1934 il TU delle leggi sanitarie attribuì la tutela delle qualità delle acque ai Comuni. Ora la tutela è invece indirizzata soprattutto nei confronti dell’inquinamento, ed infatti si è giunti nel 1976 ad una normativa organica in materia, la Legge Merli che aveva ad oggetto la regolamentazione degli scarichi e la pianificazione della tutela e dell’utilizzazione delle risorse idriche. Essa seguiva due linee fondamentali:
1) Attività pianificatoria preceduta da studi e rilevamenti. Le Regioni predisponevano un piano regionale di risanamento e lo Stato un piano generale di risanamento.
2) Sistema di autorizzazione degli scarichi. Il vizio di fondo di tale normativa era il suo carattere “sanitario” più che “ambientale” e questo era in contrasto con la normativa comunitaria. Innanzitutto non era precisato il concetto di scarico, per cui parte della giurisprudenza considerò tale qualsiasi deposito anche occasionale ed accidentale, ma altra parte restrinse tale interpretazione ai soli scarichi continuativi e periodici. In secondo luogo non era chiaro in sede interpretativa il significato dei termini “insediamento civile” e “insediamento produttivo”, poi risolto con una successiva interpretazione autentica del legislatore.
Il d.lgs.152/1999 ha abrogato espressamente la Legge Merli offrendo una definizione chiara di scarico ed una disciplina generale volta al miglioramento qualitativo e quantitativo delle acque ed all’equilibrio del fabbisogno e della disponibilità mediante la fissazione di obiettivi di qualità ambientale, controlli e sanzioni, rispetto dei valori limite fissati dallo Stato, la prevenzione, la conservazione, il riciclo e la fissazione di soglie minime per i corpi idrici significativi.
Normativa comunitaria
Spesso il legislatore italiano è stato inadempiente nell’adeguamento alle direttive comunitarie in tema di acque, per cui queste ultime hanno assunto rilievo diretto nel nostro ordinamento. La legge comunitaria per il 1993 ha fissato una serie di principi e criteri direttivi, come il recupero e la conservazione delle condizioni ambientali, il mantenimento di livelli di protezione nazionali se più alti di quelli comunitari e la predisposizione di un quadro di settore omogeneo ed organico. Sebbene non sia stata prevista una legittimazione in materia agli organi comunitari, la CEE ha comunque previsto una propria politica di settore, specie con l’Atto Unico europeo e nel Trattato di Maastricht. La Commissione nelle sue proposte in tale materia deve basarsi su un livello di protezione elevato e deve mirare alla protezione della salute ed alla razionalizzazione nell’utilizzo delle risorse.
I principi fondamentali sono la prevenzione, la correzione dei danni alla fonte, la responsabilità dell’inquinante, la sussidiarietà della Ce rispetto agli Stati, la cooperazione internazionale e trasversale. Il d.lgs.152/99, su richiamato, ha previsto anche gli strumenti degli accordi e dei contratti di programma per il risparmio idrico e il riutilizzo delle acque di scarico, nonché sono state previste ulteriori cautele per gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane. Un altro d.lgs. del 2001 ha disciplinato specialmente il regime delle acque potabili, con la previsione di una relazione triennale pubblicata dal Ministro della Sanità ed inoltre la trasmissione di una relazione sulle misure e i provvedimenti adottati alla Commissione Europea per la verifica della conformità ai parametri. Lo Stato è legittimato a sopperire all’inerzia delle Regioni e degli enti locali inadempienti nell’ambito dell’approvvigionamento idrico, osservanza dei valori di parametro, adozione di piani di intervento per il miglioramento della qualità delle acque.