Mentre i beni di interesse culturale appartenenti ai privati sono assoggettati ad un regime vincolistico, in deroga alle norme privatistiche sancite in tema di conservazione e circolazione dei beni, che trova fondamento nell’ art. 42 cost., e i beni della pubblica amministrazione sono personalizzati all’attività amministrativa propria dell’ente titolare,una particolare rilevanza assume la circolazione dei beni culturali appartenenti alle persone giuridiche private senza scopo di lucro, la cui fonte normativa è il codice dei beni culturali adottato con d.lgs.42/04. Tale codice introduce la nuova nozione di patrimonio culturale, che include sia i beni culturali che quelli paesaggistici. Sono beni culturali le cose mobili e immobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico ed etnoantropologico, nonché le altre cose individuate dalla legge. Sono beni paesaggistici gli immobili e le aree di valore storico, culturale, naturale ed estetico del territorio, nonché gli altri beni individuati dalla legge.
Precedentemente il legislatore aveva rivisto tutta la disciplina dei beni culturali con il Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali ed ambientali ( d.lgs. 490/99), procedendo al riassetto e alla codificazione della materia che tenessero conto anche degli accordi internazionali. Nella precedente disciplina ai beni culturali potevano distinguersi in due categorie:
– beni intrinsecamente culturali, cioè tali per se stessi, in quanto l’interesse artistico, archeologico, antropologico conferisce la natura culturale al bene;
– beni estrinseca mente culturali, cioè beni non tali per se stessi, ma per il loro particolare collegamento con la storia politica, militare, letteraria e artistica.
La classificazione di tali beni come “Beni Culturali” avveniva tramite un provvedimento della pubblica amministrazione che, pur non avendo natura costitutiva perché esercitava una mera funzione di accertamento della qualità del bene, comportava comunque l’esercizio di un potere discrezionale libero nella valutazione. Ai sensi dell’ art. 5 del TU le persone giuridiche rive dello scopo di lucro, nonché gli enti pubblici, avevano l’obbligo di presentare un elenco descrittivo dei beni culturali. Tale elenco aveva un mero valore conoscitivo per i terzi, e non natura costitutiva, in quanto anche i beni non inseriti nell’elenco erano comunque assoggettati alla disciplina del TU.
Il codice dei beni culturali, sulla falsariga del dl. 269/03, ha introdotto alcune importanti innovazioni.
L’art. 12 prevede, infatti,una necessaria verifica per quei beni che presentino interesse artistico, storico e archeologico, che abbiano più di cinquant’anni di vetustà e che siano opere di autore non più vivente. In attesa della conclusione della verifica, effettuata dagli organi del ministero competente d’ufficio ho o su richiesta dei soggetti cui le cose appartengono, i beni restano precauzionalmente sottoposti alla disciplina dei beni culturali. La natura di bene culturale consegue alla “schedatura del bere” che va trascritta nei registri immobiliari, se si tratta di bene immobile; tale bene può essere immediatamente commercializzato senza autorizzazione e senza prelazione, qualora invece appartenga ad ente pubblico territoriale o allo Stato è necessaria la preventiva sdemanializzazione.
La dichiarazione dell’interesse culturale, nonché il relativo procedimento, sono attribuiti al Ministero per i beni e le attività culturali ( artt. 13 e 14).
Per i beni soggetti a pubblicità immobiliare o mobiliare la trascrizione del provvedimento impositivo del vincolo non ha funzione costitutiva del vincolo, ma soltanto funzione di pubblicità dichiarativa al fine di rendere conoscibile il vincolo. Per questo motivo la trascrizione del vincolo non è preordinata a dirimere i conflitti tra più acquirenti, essendo il vincolo punibile al terzo anche a prescindere dalla mancata trascrizione (secondo il Sandulli si tratta di efficacia rafforzativa). Tuttavia recentemente la dottrina sembra essere orientata per la tesi della inopponibilità del vincolo non trascritto, anche se l’art. 15 non stabilisce alcuna conseguenza (quale l’inopponibilità del vincolo) per il mancato adempimento pubblicitario.