Ulteriore necessaria distinzione da effettuare è quella tra piano e programma: il primo definisce gli obiettivi ed il secondo adotta gli strumenti operativi per raggiungerli. E’esemplificativa la definizione “Planning – programming – budgeting system”. In Italia le parole “programma” e “programmazione” hanno surrogato le parole “piano e pianificazione” con la conseguente distinzione semantica tra programmazione economica, di competenza degli economisti e partita da un livello nazionale per giungere a livelli meno elevati, e pianificazione territoriale, di competenza di architetti ed urbanisti, partita da un livello comunale e pian piano estesa a livelli più elevati.

Le norme di piano, i piani di riferimento e i piani settoriali

Altra differenza da sottolineare è quella tra leggi attuative, che fissano le regole fondamentali per la produzione di norme di piano, e possono essere illegittime qualora non consentissero una programmazione locale autonoma e precludessero la partecipazione delle autonomie locali a una programmazione definita con legge, e leggi che programmano, che distinguono programmi o piani di riferimento dai piani settoriali e non possono essere illegittime perché non operano alcuna sottrazione nell’ambito della definizione degli interessi pubblici da perseguire ai livelli amministrativi competenti (riserva amministrativa di programmazione nei confronti della legge).

Le finalitĂ  della programmazione secondo criteri dettati dalla Costituzione

Nell’ambito delle finalità della programmazione bisogna sottolineare che la Costituzione fissa i principali obiettivi di politica economica e sociale sulla base di un sistema dualistico (pubblico – privato). I fini sociali vengono perseguiti mediante i limiti all’iniziativa economica privata, e l’utilità sociale viene perseguita invece con programmi e controlli, e cioè mediante l’intervento del legislatore sull’impresa pubblica e privata. E’ legittima sia una programmazione imperativa che una indicativa, sebbene la dottrina sia quasi unanimemente concorde sul fatto che la programmazione abbia la forma di un atto imperativo (legge) e per ciò stesso vincolante. Sulla base dell’art.43 quindi si predispone una tutela dei privati, la garanzia di scelte democratiche (con legge) e la sottrazione all’esecutivo dell’indirizzo politico-economico di lungo periodo. Tuttavia si tratterebbe di una riserva di legge relativa, poiché sarebbe ammissibile una delega al governo previa determinazione dei principi con le leggi di piano.

 Il fine sociale della programmazione

Oltre ai fini stabiliti dalla Costituzione vi sono anche i fini sociali da perseguire, mediante scelte che tendano a limitare (ma non a escludere) l’esercizio di poteri di tipo autoritativo. E sono solo i fini sociali a giustificare l’incidenza sulla libertà economica privata. Essi sono identificabili soprattutto con il dettato costituzionale dell’art.3 2°comma – libertà sostanziale – e quindi la programmazione diviene un obbligo giuridico posto dalla Costituzione volto all’incremento e la diffusione del benessere economico.

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