Sentenza di proscioglimento
All’interno della categoria delle sentenze di proscioglimento, il codice pone una distinzione tra:
- sentenza di non doversi procedere (artt. 529 e 531), che non contengono un accertamento del fatto storico, dal momento che si limitano a statuire su aspetti processuali che impediscono un accertamento (sentenza meramente processuale);
- sentenza di assoluzione (art. 530), che contengono un vero e proprio accertamento, operato dal giudice mediante le prove.
Quando il giudice pronuncia una sentenza di non doversi procedere o di assoluzione, egli deve precisarne la causa, ossia la formula terminativa (artt. 529, 530 e 531), che costituisce una sorta di riassunto della motivazione della decisione. Il codice impone al giudice di precisarle nella motivazione non soltanto perché alcune di esse sono idonee a determinare gli effetti del giudicato, ma anche perché tutte favoriscono una maggiore intelligibilità del contenuto e della motivazione della decisione.
Sentenze di non doversi procedere
Sentenze di non doversi procedere:
- sentenza di non doversi procedere perché l’azione penale non doveva essere iniziata oppure non deve essere proseguita (art. 529): la sentenza ha questa formula terminativa quando manca la condizione di procedibilità prevista dalla legge per quella determinata fattispecie incriminatrice (istanza, querela, richiesta e autorizzazione a procedere) (co. 1).
Alla situazione in cui manca la prova della condizione di procedibilità è equiparata quella in cui la prova dell’esistenza della medesima risulta essere insufficiente o contraddittoria (in dubio pro reo) (co. 2);
- sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato (art. 531 co. 1). Il codice penale prevede varie cause di estinzione del reato (es. morte del reo prima della condanna, amnistia, prescrizione del reato), le quali, una volta accertate dal giudice, impediscono a quest’ultimo di pronunciare un accertamento dell’esistenza del reato e della responsabilità dell’imputato. Tale sentenza, tuttavia, non comportando un vero e proprio accertamento, risulta essere inidonea a formare giudicato nei confronti dei processi civili, amministrativi e disciplinari che hanno ad oggetto il medesimo fatto.
Il giudice, peraltro, adotta tale pronuncia sia quando vi è la prova dell’esistenza della causa estintiva, sia quando vi è il dubbio sull’esistenza della medesima (in dubio pro reo) (co. 2).
L’imputato ha interesse a ottenere un’assoluzione nel merito: tale formula, infatti, risulta essere oggettivamente più vantaggiosa rispetto alla sentenza di non doversi procedere (es. opinione pubblica). Il codice tende a contemperare l’interesse dell’imputato con le esigenze di economia processuale che impongono di non proseguire oltre in presenza di una causa di improcedibilità. Il tale situazione, quindi, pone al giudice l’obbligo di pronunciare sentenza di assoluzione se dagli atti (esistenti) risulta evidente l’innocenza dell’imputato per uno dei motivi assolutori (art. 129 co. 2).
Sentenze di assoluzione
Con la sentenza di assoluzione il giudice compie un accertamento sull’esistenza o meno del fatto storico addebitato. Il codice impone al giudice di utilizzare una delle formule riassuntive previste dall’art. 530 co. 1, risultato della necessità di precisare gli effetti del giudicato nei processi civili, amministrativi e disciplinari. A detta di Tonini, la scelta di prevedere più formule di assoluzione non appare ragionevole: a suo modo di vedere, infatti, gli argomenti che inducono a prosciogliere dovrebbero essere contenuti nella motivazione della sentenza e non apparire nel dispositivo.
Nell’enunciare le formule terminative, comunque, il codice segue una vera e propria gerarchia, perché inizia con quelle più favorevoli all’imputato e termina con le formule meno favorevoli, utilizzando come criterio il pregiudizio morale che può derivare all’imputato. Nelle situazioni in cui sarebbe possibile applicare più formule, quindi, il giudice deve pronunciare la formula più ampiamente liberatoria:
- assoluzione perché il fatto non sussiste: tale formula deve essere adottata quando il fatto di reato, addebitato nell’imputazione, non trova conforto nelle risultanze processuali, ossia quando mancano gli elementi oggettivi che dovrebbero integrare la condotta, l’evento o il rapporto di causalità;
- assoluzione perché l’imputato non ha commesso il fatto: tale formula è utilizzata quando il fatto addebitato sussiste dal punto di vita dell’elemento oggettiva, ma il reato non è stato commesso dall’imputato bensì da un altro soggetto;
- assoluzione perché il fatto non costituisce reato: in questo caso il fatto addebitato, pur essendo stato commesso dall’imputato e pur sussistendo nei suoi elementi oggettivi, non rappresenta un illecito penale, perché, ad esempio, manca l’elemento soggettivo o il presupposto della condotta. Il giudice utilizza tale formula anche quando sono integrati sia l’elemento oggettivo sia quello soggettivo, ma il fatto è stato commesso in presenza di una delle cause di giustificazione (es. legittima difesa) (art. 530 co. 3);
- assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato: in questo caso il fatto storico indicato nell’imputazione non rientra in alcuna fattispecie incriminatrice né sotto il profilo oggettivo né sotto quello soggettivo (assoluzione in iure). Il fatto contestato è stato commesso, ma è estraneo a qualsiasi norma incriminatrice.
Tale formula è utilizzata anche quando il fatto era previsto come reato, ma la relativa norma di legge ha perso efficacia, oppure quando una legge depenalizza determinati reati, trasformandosi in illeciti amministrativi;
- assoluzione perché il reato è stato commesso da una persona non imputabile o non punibile per un’altra ragione: tale formula viene utilizzata quando il giudice accerta che il fatto è stato commesso ed è penalmente illecito, ma l’imputato non è punibile in concreto (non imputabile (es. minore), non punibile (es. rapporto di parentela exart. 649) e penalmente immune). Tale formula terminativa è la più sfavorevole:
- da un lato il giudice riconosce che l’imputato ha commesso un fatto penalmente illecito, anche se lo dichiara esente da pena;
- da un altro lato, se il giudice accerta che l’autore del reato è non imputabile ma pericoloso socialmente, deve applicargli la misura di sicurezza prevista dalla legge.
Queste formule assolutorie devono essere applicate sia quando la prova di reità dell’imputato manca, sia quando questa è insufficiente o contraddittoria (art. 530 co. 2): il processo penale accusatorio, infatti, è finalizzato ad accertare se i fatti si sono svolti così come l’accusa li ha ricostruiti nell’imputazione. Basta un ragionevole dubbio in merito a tale prospettazione perché il fatto di cui all’imputazione non possa ritenersi accertato e, quindi, l’imputato debba essere assolto.
Disposizioni eventuali della sentenza di proscioglimento
Con la sentenza di proscioglimento il giudice ordina la liberazione dell’imputato in stato di custodia cautelare e dichiara la cessazione delle altre misure cautelari personali disposte (art. 532 co. 1).
Con la sentenza che assolve l’imputato per cause diverse dal difetto di imputabilità, il giudice, qualora ne sia fatta richiesta, condanna la parte civile alla rifusione delle spese processuali sostenute dall’imputato e dal responsabile civile per effetto dell’azione civile. Se il danneggiato ha esercitato l’azione civile nel processo penale per colpa grave , il giudice può condannare la parte civile al risarcimento dei danni causati all’imputato assolto. Nel caso di assoluzione da un reato perseguibile a querela con le formule ampiamente liberatorie de il fatto non sussiste o l’imputato non ha commesso il fatto , il giudice condanna il querelante al pagamento delle spese del procedimento anticipate dallo Stato ed alla rifusione delle spese al risarcimento del danno a favore dell’imputato assolto.