Il nuovo codice di procedura penale (1988), configurando un passaggio radicale da un sistema misto ad un sistema quasi perfettamente accusatorio, ha comportato quantomeno tre ordini di problemi:
- da un punto di vista teorico, il legislatore ha creduto che fosse sufficiente rendere inutilizzabili i risultati delle dichiarazioni rese prima del dibattimento per affermare determinate garanzie processuali. Il sistema accusatorio, tuttavia, prevedrebbe non tanto l’inutilizzabilità di questo materiale, quanto piuttosto la presenza di maggiori controlli nella fase delle indagini preliminari;
- da un punto di vista operativo, il legislatore ha fatto il grave errore di non rapportare i fini ai mezzi, prospettando un’impostazione processuale non conciliabile con le strutture esistenti;
- da un punto di vista psicologico, si sono manifestati problemi di adattamento degli operatori ad una logica processuale completamente diversa da quella precedente.
Sebbene l’esecutivo del 1989 avesse previsto la possibilità di intervenire con ulteriori accorgimenti per perfezionare il codice, l’inerzia del legislatore ha indotto la Corte costituzionale, in particolar modo sotto la pressione dei delitti di mafia (anni novanta), ad emettere una serie di declaratorie di incostituzionalità nei confronti di alcuni articoli del codice ritenuti contrari al principio di ragionevolezza.
 Un grande passo indietro è stato fatto con la l. n. 356 del 1992, con la quale è stato effettivamente leso il principio del contraddittorio (in parte ripristinato con la l. n. 332 del 1995). Con tale legge, in particolare, è stato intaccato il principio della non utilizzabilità della documentazione ottenuta nel corso delle indagini preliminari.
A completamento del processo di riforma del c.p.p. è intervenuta la l. n. 267 del 1997, in tema di dichiarazioni di un imputato contro un altro imputato nel corso delle indagini. Tale legge ha previsto che, nonostante queste dichiarazioni non siano normalmente utilizzabili, si possa derogare a tale principio in tre ipotesi:
- qualora siano state raccolte in un incidente probatorio;
- qualora l’accusatore si sottoponga all’esame incrociato;
- qualora sia impossibile la ripetizione delle dichiarazioni.
Di fronte a questa legge alcuni ambienti della magistratura sono insorti, inducendo la Corte Costituzionale a riportare la legge su livelli maggiormente accettabili. Attualmente, quindi, si ammette l’utilizzazione delle dichiarazioni dell’imputato accusatore anche qualora questi, costretto al contraddittorio, si avvalga della facoltà di non rispondere: esso, infatti, viene equiparato con una fictio iuris al testimone, per il quale viene prevista proprio questa disciplina.