Il giudice risulta essere al tempo stesso libero di convincersi e obbligato a motivare razionalmente la sua scelta. Nel nostro ordinamento, in particolare, al giudice viene riconosciuto un potere decisorio limitato dalle norme giuridiche che disciplinano:
- la valutazione delle prove (art. 192);
- la motivazione della sentenza.
Il convincimento del giudice, quindi, deve consistere in una valutazione razionale delle prove e in una ricostruzione del fatto conforme ai canoni della logica ed aderente alle risultanze processuali. Da tale principio si possono trarre due corollari:
- se si tratta di una sentenza di condanna, il giudice deve motivare perché le prove di accusa sono risultate idonee ad eliminare ogni ragionevole dubbio sull’imputazione;
- se si tratta di una sentenza di assoluzione, il giudice deve fornire una spiegazione razionale sul perché la ricostruzione dell’accusa è infondata o comunque lascia residuare un dubbio ragionevole.
 Occorre sottolineare che nel processo penale, a differenza di quanto avviene in quello civile, non esiste l’istituto della prova legale (es. confessione ex art. 2733 c.c.). La legge, quindi, non può sostituirsi al libero convincimento del giudice nella valutazione di un determinato elemento di prova.