In base all’articolo 109 della Costituzione: “il pubblico ministero dispone direttamente della polizia giudiziaria, che lo coadiuva nello svolgimento delle indagini”. La polizia giudiziaria non è un corpo di polizia a sé ma una funzione attribuita agli appartenenti alle forze dell’ordine. L’art. 55, co. 1 stabilisce che essi devono, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati; impedire che essi possano essere portati avanti, ricercarne gli autori; ricercare le prove necessarie e tutti gli elementi necessari all’applicazione della legge penale e in generale alla repressione dei reati.
Il discrimine fra la polizia di sicurezza e giudiziaria è rappresentato dalla notizia di reato. Tutto ciò che avviene in occasione dell’acquisizione della notitia criminis e nei momenti successivi riguarda il procedimento penale e la funzione di polizia giudiziaria, mentre le attività precedenti sono di carattere amministrativo e le forze di polizia non godono dei potere coercitivi tipici della funzione giudiziaria.
Gli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria hanno duplice dipendenza, organica dal corpo di polizia cui appartengono, funzionale dal pubblico ministero che dirige e coordina l’attività d’indagine.
La dipendenza funzionale è più stretta per gli appartenenti alle sezioni di polizia giudiziaria che sono istituite presso le procure della Repubblica, hanno composizione interforze, provenendo gli uffici e gli agenti dai Carabinieri, dalla Guardia di Finanza, dalla Polizia di Stato e si occupano esclusivamente dell’attività investigativa alle dipendenze del procuratore.
Una disciplina particolare è prevista per le indagini di criminalità organizzata, in cui la funzione di polizia giudiziaria è svolta dalla direzione generale antimafia, un organo centrale interforze posto sotto il comando del procuratore nazionale antimafia.
Questa disciplina della polizia giudiziaria, al contempo dipendente dalla magistratura ma non affidata ad un corpo autonomo di polizia, è stata criticata da alcuni i quali hanno sottolineato la possibilità che la polizia giudiziaria incida sugli equilibri costituzionali: in particolar modo fungendo da filtro tra le notizie di reato raccolte e quelle tramesse al pubblico ministero (con una chiara violazione dell’obbligatorietà dell’azione penale). Per questo, alcuni, hanno ritenuto necessario introdurre una riforma che garantisse la pinea dipendenza della polizia giudiziaria dalle procure.
L’imputato: parte necessaria e fonti di prova
L’imputato diventa tale nel momento in cui viene esercitata l’azione penale da parte del P.M. (a quel punto manterrà la qualifica d’imputato fino a che non viene pronunciata sentenza definitiva). Fino a quel momento egli sarà identificato con il termine di indagato. Nonostante questa distinzione terminologica, l’articolo 61 del c.p.p. dispone che all’indagato e all’imputato devono essere riconosciuti gli stessi diritti e le stesse garanzie.
L’imputato, al pari del pubblico ministero, è parte necessaria del processo. Il termine imputato è fuorviante in quanto sembra implicare una sua posizione passiva e una superiorità dell’accusa (cioè del P.M.). Per questo appare più corretto utilizzate il termine difesa. La contrapposizione fra difesa (imputato) e accusa (pubblico ministero) rende l’idea di ciò che accade nel processo: un confronto ad armi pari fra imputato e pubblico ministero, a cui assiste un giudice terzo ed imparziale che dovrà decidere la controversia.
La concezione moderna dell’imputato (o meglio della difesa) ha permesso di superare i canoni tipici del processo inquisitorio in cui l’imputato era considerato il principale strumento di prova da cui trarre le informazioni utili alla soluzione della controversia (spesso ricorrendo alla tortura).
Ad oggi, invece, nonostante la possibilità che l’imputato (o meglio le sue conoscenze) sia utilizzate come fonte di prova per la soluzione della causa (si pensi ad esempio alla confessione o all’interrogatorio), la legge gli riconosce una serie di diritti. Il più importante di questi diritti è quello di non collaborare in alcun modo alla propria condanna.