Il termine impugnazione deriva dal latino pugnare, lottare . In questo caso, l’oggetto contro cui si lotta è la sentenza. Possiamo quindi definire impugnazione quel rimedio esperibile da una parte al fine di rimuovere un provvedimento giurisdizionale svantaggioso, che si assume essere errato, mediante il controllo operato da un giudice differente da quello che ha emesso il provvedimento.
Dal punto di vista pratico il fattore temporale ci permette di distinguere tra:
- impugnazioni ordinarie, che sono quelle che possono essere esperite entro un termine stabilito a pena di decadenza (art. 585 co. 5), decorso il quale senza che vi sia stata proposta impugnazione la sentenza diventa irrevocabile. Sono impugnazioni ordinarie:
- l’appello: la cognizione del giudice di appello è la più completa, perché egli può riesaminare il caso sotto il profilo della legittimità e del merito nei limiti dei motivi addotti dalle parti appellanti;
- il ricorso per cassazione: la cognizione della Corte di cassazione risulta essere maggiormente limitata, poiché questa può essere fatta oggetto di ricorso soltanto nei casi tassativamente previsti dalla legge (art. 606). Essa, peraltro, è giudice della sola legalità processuale e sostanziale, con esclusione di ogni sindacato sulla valutazione dei fatti;
- impugnazioni straordinarie (es. revisione, ricorso per cassazione per errore materiale o di fatto), che sono quelle che hanno ad oggetto provvedimenti divenuti irrevocabili.