L’articolo 112 della Costituzione dispone: “Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”. Con questa formula si vuole sottolineare che il pubblico ministero è la parte pubblica del processo; il suo compito è quello di esercitare l’azione penale, cioè di presentare al giudice la domanda in modo che quest’ultimo possa pronunciarsi su di essa (per garantire la terzietà e imparzialità dell’organo giudicante, il giudice non può formulare autonomamente la domanda su cui andrà a pronunciarsi). In alternativa, se il pubblico ministero ritiene che la notizia di reato sia infondata, procederà con l’archiviazione, impedendo il tal modo l’apertura della fase processuale.

A questo punto appare utile esaminare nel dettaglio che cosa intenda l’articolo 50 del c.p.p. quando parla di esercizio dell’azione penale. Esercitare l’azione penale significa formulare l’imputazione che contiene il profilo soggettivo, cioè l’identificazione dell’imputato; il profilo oggettivo, cioè la descrizione spazio-temporale del fatto e la sua qualificazione come reato e gli elementi accidentali, in particolare le eventuali circostanze aggravanti.

A questo punto una volta che l’imputazione è stata formulata rimarrà costante salvo nuove contestazioni di cui agli articoli 423 e 516 e ss. del c.p.p.

Il momento in cui il pubblico ministero esercita l’azione penale è un momento fondamentale in quanto rappresenta lo spartiacque fra la fase delle indagini preliminari e la fase processuale (composta da udienza preliminare e dibattimento).

Per quanto riguarda quelle che sono le caratteristiche fondamenti dell’azione penale, esse sono: l’obbligatorietà, in quanto ai sensi dell’articolo 112 della Costituzione il pubblico ministero è obbligato ad esercitare l’azione penale. Questa norma, in realtà, non vuole obbligare il pubblico ministero a formulare l’imputazione ogni qual volta gli venga presentata una notizia di reato.

Il suo compito, infatti, è quello di scegliere fra l’esercizio dell’azione penale e archiviazione, sulla base di criteri oggettivi formulati dalla legge (chiara applicazione del principio di legalità) e non sulla base di scelte discrezionali (che potrebbero minare l’uguaglianza di tutti i cittadini).

Sussistono, due criteri oggettivi, che possono essere utilizzati per valutare se il pubblico ministero ha correttamente esercitato l’azione penale (ovvero non l’ha esercitata, preferendo l’archiviazione): il principio della completezza: il pubblico ministero potrà legalmente decidere di esercitare (o non esercitare) l’azione penale, solamente se le indagini preliminari sono state caratterizzate da una completa individuazione delle fonti e degli elementi di prova su cui basare l’imputazione ovvero l’archiviazione; il principio di non superfluità del processo: il pubblico ministero potrà esercitare l’azione penale solamente se il processo può dirsi non superfluo.

Al contrario un processo è superfluo, secondo quanto stabilito da una direttiva comunitaria del 1987, quando: “l’accusa è insostenibile e la notizie di reato è, sul piano processuale, infondata”. In questo caso il pubblico ministero dovrà optare per l’archiviazione.

Altra caratteristica è l’indipendenza: nell’esercitare l’azione penale (o nel preferire l’archiviazione) il pubblico ministero deve essere indipendente rispetto ad ogni altro potere ed essere soggetto soltanto alla legge. l’indipendenza comporta che nessuno può interferire sul promovimento o meno dell’azione. Il pm è una parte processuale che non può essere ricusata dalle altre parti e trattandosi di un organo pubblico che esercita una funzione pubblica, su di lui incombe il dovere di imparzialità. Egli ha la facoltà di astenersi quando esistono gravi ragioni di convenienza.

Una volta esercitata l’azione penale, essa è irretrattabile; in altre parole il pubblico ministero, una volta che ha deciso di esercitare o di non esercitare l’azione penale, non potrà tornare indietro sulla sua scelta. Ciò non significa, tuttavia, che nel corso delle fasi successive del processo (udienza preliminare e dibattimento) il pubblico ministero non possa mutare la propria opinione, richiedendo l’assoluzione dell’imputato (una simile richiesta, tuttavia, non comporterebbe una ritrattazione dell’azione che rimarrebbe pienamente valida.

Il pubblico ministero, a differenza del giudice, svolge il ruolo di parte pubblica nel processo. L’imparzialità impone al pubblico ministero non solo di comportarsi da accusatore ma anche da organo di giustizia, il cui scopo primario è quello di ricercare gli elementi utili per giungere ad una giusta decisione. Purtroppo nella prassi i pubblici ministeri sono poco inclini a valorizzare la loro funzione di “paladini della giustizia”, preferendo dedicarsi ai loro compiti accusatori e al tentativo di ottenere, ove possibile, la condanna dell’imputato.

L’azione penale è caratterizzata anche dall’indivisibilità, nel senso che, nell’esercitare l’azione penale, il pubblico ministero deve agire contro tutti coloro che hanno commesso il reato (espressione di questo principio è l’articolo 123 del c.p. in quale prevede l’estensione ex lege della querela a tutti coloro che hanno concorso alla produzione del reato); dalla pubblicità, agendo il pm quale titolare di un organo pubblico che persegue l’interesse generale della collettività alla repressione dei reati; dalla officialità, in quanto egli adempie alla sua specifica funzione (quello che i latini chiamavano officium).