Premesse terminologiche
Il libro II del c.p.p. si occupa degli atti del procedimento. La disciplina ivi contenuta si applica sia agli atti adottati nella fase preliminare, sia agli atti adottati nella fase giudiziale (questa è una chiara differenza rispetto al precedente c.p.p., il codice rocco, che prevedeva una disciplina diversa a seconda della fase processuale in cui l’atto era stato adottato.
Passando alla definizione di atto processuale la dottrina maggioritaria lo qualifica come: “Un atto giuridico (quindi un atto in cui l’ordinamento da rilevanza al comportamento umano e per questo distinto dal semplice fatto giuridico) produttivo di uno specifico effetto all’interno del processo”. La qualifica di atto processuale spetta, dunque, a tutti gli atti che siano stati posti in essere dall’inizio del procedimento penale (ovviamente anche l’atto che ha dato avvio all’intero procedimento).
La lingua degli atti
La prima disposizione normativa del libro II del c.p.p. è l’articolo 109, il quale occupandosi della lingua degli atti al 1° comma dispone:“Gli atti del procedimento penale sono compiuti in lingua italiana”.
Il comma 2, dell’articolo 109, prende in considerazione la posizione dei cittadini appartenenti ad una minoranza linguistica riconosciuta dall’Italia (si pensi ad esempio a coloro che parlano la lingua sarda). Rispetto a detti soggetti il 2° comma dell’articolo 109 del c.p.p. prevede la possibilità di essere interrogati/esaminati nella propria madrelingua (che sarà utilizzata anche nella redazione del verbale dell’interrogatorio) e di ottenere la traduzione degli atti processuali nella stessa lingua. Affinché il soggetto alloglotto (termine tecnico utilizzato per definire il soggetto appartenente ad una minoranza linguistica) possa beneficiare delle prerogative di cui al 2° comma dell’articolo 109, è necessario che ricorrano 3 condizioni.
Il soggetto deve appartenere ad una minoranza linguistica riconosciuta da una legge regionale o statale. Il procedimento deve svolgersi dinanzi ad un autorità giudiziaria competente nel territorio in cui è insediata la minoranza linguistica (nel caso della lingua sarda, ad esempio, l’autorità giudiziaria deve esercitare le sue funzioni in Sardegna).
L’alloglotta deve presentare una domanda, scritta o orale, in cui richiede di avvalersi delle facoltà di cui all’articolo 109 del c.p.p.
Una disciplina particolare è prevista, inoltre, per i muti i sordi e i sordomuti dall’articolo 119 del c.p.p. il quale dispone che:“Al sordo le domande devono essere presentate per iscritto ed egli risponde oralmente; al muto le domande vengono fatte oralmente ed egli risponde per iscritto; con il sordomuto tutto avviene per iscritto. Sia al sordo sia al muto sia al sordomuto deve essere garantito il diritto ad un interprete gratuito”.
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La sottoscrizione e la data
Ai sensi dell’articolo 110 del c.p.p. l’atto deve essere sottoscritto mediante una firma autografa, contenente il nome e il cognome, apposta dal soggetto interessato. Nel caso di soggetti che non sono in grado di scrivere (ad es. gli analfabeti), spetterà al pubblico ufficiale a cui è presentato l’atto, procedere all’identificazione della persona e annotare i suoi dati in calce all’atto stesso.
Per quanto riguarda la data, il codice di procedura penale, all’articolo 111, prevede che sugli atti sia indicato il giorno, il mese e l’anno in cui gli atti vengono posti in essere oltre al luogo di formazione. Non è invece necessaria l’ora, tranne nei casi in cui la legge lo richieda (l’ora è, ad esempio, richiesta nel verbale della polizia giudiziaria quando compie un arresto o un fermo).
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Surrogazione, ricostituzione e rinnovazione degli atti
La surrogazione, la ricostituzione e la rinnovazione degli atti sono istituti disciplinati dagli articoli 112 e 113 del c.p.p. Il loro scopo è quello di porre rimedio alla distruzione, smarrimento o sottrazione di atti processuali non recuperabili.
Si tratta di rimedi che sono tra loro sussidiari, per cui il soggetto interessato al loro utilizzò dovrà prima tentare la strada della surrogazione: si tratta del rimedio più economico; esso prevede la sostituzione dell’atto smarrito/distrutto/sottratto con la copia autentica che, in base alla legge, ha lo stesso valore dell’atto originale nel momento in cui viene consegnata alla cancelleria (consegna che viene ordinata, anche d’ufficio, dal Presidente del tribunale o dal Presidente della Corte d’appello).
Se non è possibile la surrogazione dell’atto si procederà alla ricostituzione, essa sarà facilitata nel caso in cui sia presente una minuta (una sorta di bozza dell’atto); in questo caso se il giudice la ritiene conforme all’atto, ordinerà che questo venga ricostituito sulla base della minuta.
Infine, se non è possibile neanche la ricostituzione, l’atto verrà rinnovato su ordine del giudice che, co ordinanza, indicherà gli eventuali altri atti che dovranno essere rinnovati.
I divieti di pubblicazione
L’art 114 del c.p.p. distingue due distinti divieti di pubblicazione.
Un divieto assoluto (1° comma dell’articolo 114) per gli atti di indagine coperti dal segreto investigativo. Si parla di divieto assoluto in quanto non è possibile né la pubblicazione del testo dell’atto (cioè delle esatte parole che lo compongono) né la pubblicazione del suo contenuto (descritto, generalmente, mediante un riassunto dell’atto stesso).
Il divieto assoluto non si applica: nel caso di atti che non sono stati posti in essere dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria (si pensi ad es. alle ordinanze cautelari adottate dal giudice delle indagini preliminari); nel caso di atti provenienti da soggetti privati (ad esempio esposti, denunce ecc.); nel caso di atti che, sebbene posti in essere dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria, non risultano avere alcuna funzione investigativa.
Il divieto assoluto cessa di trovare applicazione: nel momento in cui il soggetto a cui l’attività investigativa si riferisce ne viene a conoscenza e nel momento in cui viene decretata la chiusura delle indagini preliminari, salvo variazioni sul momento di cessazione del divieto, che possono essere disposte con decreto motivato dal pubblico ministero.
Un divieto relativo (articolo 114 commi 2,3,4,5) è previsto per tutti gli altri atti di cui non è possibile pubblicare il testo ma è possibile pubblicare il contenuto.
Per quanto riguarda il momento in cui il divieto relativo cessa di trovare applicazione bisogna distinguere due ipotesi.
Se il processo non va oltre la fase delle indagini preliminari, automaticamente vengono meno gli effetti del divieto relativo, rendendo pubblicabile sia il contenuto sia il testo dell’atto.
Se, invece, si passa dalla fase preliminare alla fase giudiziale, gli atti del fascicolo del dibattimento e gli atti utilizzati per le contestazioni sono liberamente pubblicabili; al contrario gli atti del fascicolo del pubblico ministero, possono essere divulgati soltanto dopo la pronuncia della sentenza in grado d’appello (questo per evitare che il giudice dell’appello risulti condizionato dagli atti del P.M.).
Qualora si debba procedere a porte chiuse, il giudice, sentite le parti può disporre il divieto di pubblicazione degli atti del dibattimento. Tutti i divieti in questione sono comunque destinati a venire meno alla scadenza dei termini stabiliti dalla legge sugli archivi di Stato, ovvero decorso il termine di 10 anni dalla sentenza irrevocabile, qualora la pubblicazione sia autorizzata dal Ministro della giustizia.
Se invece il dibattimento o parte di esso si svolge a porte chiuse per proteggere interessi non suscettibili di essere pregiudicati dalla diffusione pubblica, la mancanza di pubblicitĂ immediata non comporta la pubblicitĂ mediata, il quanto il legislatore attribuisce al giudice il potere di consentire la presenza in aula dei giornalisti.
Se non si procede al dibattimento, l’art. 114, co. 5, attribuisce al giudice il potere di disporre, sentite le parti, il divieto di pubblicazione di atti o di parti di essi che, se si fosse celebrato il dibattimento, ne avrebbero comportato lo svolgimento a porte chiuse.
L’articolo 114 comma 6 vieta la pubblicazione delle generalità e dell’immagine dei minorenni che hanno partecipato al procedimento, fino al raggiungimento della maggiore età .
L’articolo 114 comma 6bis, invece, vieta la pubblicazione dell’immagine delle persone private della libertà personale, che si trovano in manette o in un altro stato di coercizione fisica.
Per quanto riguarda la violazione dei divieti di pubblicazione, bisogna distinguere diverse ipotesi. Se la violazione è commessa da un privato cittadino: l’articolo 684 del c.p. prevede l’arresto da 3 mesi a 1 anno ovvero l’ammenda da 50 a 300 euro circa. Se la violazione è commessa da un impiegato dello Stato o di altro ente pubblico (ad esempio da un magistrato, da un membro della polizia giudiziaria): all’illecito penale si aggiunge l’illecito disciplinare, con conseguente segnalazione all’organo titolare del potere disciplinare. La stessa regola si applica se la violazione è commessa da persone che esercitano una professione per la quale è prevista una speciale abilitazione dello Stato (ad es. avvocati, notai, giornalisti ecc.).
Il rilascio di copie di atti e di informazioni scritte sul loro contenuto
Del rilascio di copie di atti e di informazioni scritte sul loro contenuto, si occupano gli articolo 116, 117, 118 e 118 bis del c.p.p.
L’articolo 116 stabilisce che: “Durante il procedimento e dopo la sua definizione, chiunque vi abbia interesse, può ottenere il rilascio a proprie spese di copie (cioè riproduzioni totali dell’atto), estratti(riproduzioni parziali dell’atto) o certificati di singoli atti(certificati in cui vengono indicati, in modo sintetico, l’esistenza, il contenuto e la data dell’atto)”.
Legittimati a richiedere la copia, l’estratto o il certificato sono non solo le parti processuali ma anche gli altri soggetti che abbiano un qualche interesse alla conoscenza dell’atto.
Competenti ad autorizzare il rilascio sono gli organi nella cui disponibilità si trova l’atto al momento della richiesta: il P.M. nella fase delle indagini preliminari, il giudice che procede nel momento della presentazione della domanda ovvero, dopo la definizione del processo, il giudice o il presidente del collegio che ha emesso il provvedimento di archiviazione o la sentenza.
Il rilascio non fa venir meno il divieto di pubblicazione.
Il difensore o un suo sostituto che presenti all’autorità giudiziaria atti o documenti ha diritto al rilascio di attestazione dell’avvenuto deposito.
L’autorizzazione viene data con decreto motivato, previo accertamento dell’interesse del richiedente e previa valutazione dell’esistenza di un divieto di pubblicazione assoluto o relativo (se il divieto è assoluto, in quanto l’atto è coperto da segreto, non è possibile autorizzare il rilascio; se invece il divieto è relativo, il rilascio fa venir meno il divieto).
Gli articoli 117 e ss. si occupano di alcune ipotesi, in cui la richiesta viene proposta da soggetti particolari per determinate finalitĂ .
L’articolo 117 prevede la possibilità del pubblico ministero di richiedere “una copia degli atti relativi ad altri procedimenti penali, qualora ciò sia necessario per il compimento delle proprie indagini”.
L’articolo 118 consente al Ministro dell’intero, di ottenere dall’autorità giudiziaria copie di atti relativi a procedimenti penali, mediante una richiesta motivata inviata all’autorità giudiziaria, la quale può rigettare la richiesta solo con decreto motivato.
L’articolo 118bis: autorizza il Presidente del Consiglio a richiedere all’autorità giudiziaria, copie di atti relativi a procedimenti penali, qualora ciò sia necessario per garantire la sicurezza della Repubblica.