Contro ogni sentenza di proscioglimento o di condanna, la legge accorda al pubblico ministero ed all’imputato il diritto di proporre impugnazione quanto meno mediante il ricorso alla cassazione (art. 111 co. 7), ma in vari casi anche mediante appello. Se per esaurimento dei mezzi di impugnazione previsti o per inerzia delle parti la sentenza resa in giudicato diventa non più impugnabile, la decisione sul fatto storico addebitato all’imputato non può più essere modificata (estinzione o consumazione del potere di accertamento del giudice). Da questo deriva il principio secondo cui la sentenza irrevocabile, avendo l’autorità della cosa giudicata, esprime un’esigenza di certezza dei rapporti giuridici.
 Il codice pone una fondamentale distinzione tra i due effetti del giudicato:
- l’effetto preclusivo, in forza del quale l’imputato prosciolto o condannato non può essere sottoposto ad un nuovo procedimento penale per il medesimo fatto storico (art. 649 co. 1). Questo non significa imporre ad un altro giudice di ritenere vero un determinato fatto, ma semplicemente impedire che si inizi un processo penale nei confronti del medesimo imputato per il medesimo fatto storico;
- l’effetto vincolante, in forza del quale gli altri giudici devono ritenere vero il fatto:
- ai fini della giustizia penale, qualora vi sia stata condanna irrevocabile, il giudicato comporta la non modificabilità dell’accertamento della sussistenza del fatto illecito e della responsabilità dell’imputato;
- ai fini della giustizia civile o amministrativa, la sentenza irrevocabile di condanna o di proscioglimento comporta un’efficacia vincolante soltanto in casi eccezionali e tassativi (artt. 651 ss.).