Il principio alla base di questa disciplina è quello per cui l’attività del difensore non deve subire alcun condizionamento. Al fine di garantire tale posizione, il legislatore ha stabilito che tali difensori non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero (art. 200 co. 1). L’art. 103, in particolare, disciplina una lunga serie di garanzie di libertà spettanti al difensore:
- le ispezioni e le perquisizioni negli uffici dei difensori sono consentite solamente se (co. 1):
- il difensore o altri soggetti che svolgono stabilmente attività in quell’ufficio sono imputati;
- si intenda rilevare tracce o altri effetti materiali del reato oppure si intenda ricercare cose o persone specificatamente predeterminate;
- le carte relative all’oggetto del reato che si trovano presso l’ufficio del difensore non possono essere sequestrate, eccezion fatta per l’ipotesi in cui costituiscano il corpo del reato (co. 2);
- le conversazioni e le comunicazioni tra difensori oppure tra difensori e loro assistiti non possono essere intercettate (co. 5);
- la corrispondenza tra il difensore e l’imputato non può essere né sequestrata né controllata, eccezion fatta per l’ipotesi in cui l’autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti del corpo del reato (co. 6);
- tutte i risultati ottenuti in violazione di queste norme non possono essere utilizzati (co. 7).
Il giudice che si accinge ad una delle operazioni sopra indicate deve avvertire il consiglio dell’ordine forense del luogo, in modo tale che il presidente del consiglio od uno dei consiglieri da questi delegato possa assistervi (co. 3). Nessun altro se non il giudice può procedere a questo genere di attività, eccezion fatta per il pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari, ma solo in forza di un motivato decreto di autorizzazione del giudice (co. 4).