Una sentenza può contenere pronunce su più reati: ciascun capo, infatti, contiene una decisione (condanna o proscioglimento) su di singola una imputazione. Per evitare che siano resi giudizi contrastanti in sede di impugnazione in relazione al medesimo fatto di reato e a reati connessi, quindi, l’art. 580, modificato dalla l. n. 46 del 2006, dispone che quando contro la stessa sentenza sono proposti mezzi di impugnazione diversi (es. condanna pronunciata nel rito abbreviato sottoposta ad appello da parte dell’imputato e a ricorso per cassazione da parte del pubblico ministero), nel caso in cui sussista la connessione di cui all’art. 12, il ricorso per cassazione si converte in appello . Tale disposizione, evidentemente, configura un rimedio preventivo contro il sorgere di giudicati contrastanti sul medesimo reato o su reati connessi.
 La conversione non comporta una modifica del contenuto dell’impugnazione, che resta quello originariamente previsto dalla legge. La corte di appello, quindi, ha un potere di cognizione limitato alla censura di legittimità . Al contrario, qualora l’appello originariamente proposto avesse investito anche profili di merito, la corte di appello deve ovviamente giudicare anche su di essi.
La corte di appello, comunque, mantiene i propri poteri originari, potendo di regola confermare o riformulare la sentenza e solo eccezionalmente (art. 604) annullarla.