La crisi di cooperazione dei consociati può riguardare l’obbligo di astensione che grava su tutti i consociali al fine di consentire ad un soggetto il godimento di una res. In tal caso la violazione dell’obbligo può concretarsi in tre diverse modalità:
- nella privazione della situazione di vantaggio data dal possesso o dalla detenzione della res: in tale ipotesi la condanna avrà per contenuto l’eliminazione degli effetti della violazione, ossia l’ordine di adempiere l’obbligo di restituire (condanna). In caso di inottemperanza dell’obbligato a questo provvedimento del giudice, il titolare del diritto potrà mettere in moto un processo di esecuzione forzata ed ottenere che, tramite un terzo, gli venga restituita la res oggetto del suo diritto di godimento.
Se riflettiamo un attimo su tale ipotesi, possiamo notare che tale tutela giurisdizionale esplica una funzione meramente repressiva della violazione effettuata, riuscendo solo parzialmente a dare al titolare del diritto tutto quello e proprio quello che egli aveva diritto di conseguire (es. godimento per il periodo in cui la violazione ha prodotto i suoi effetti). Il processo, se interviene quando la violazione è già stata compiuta, può soltanto impedire che la violazione continui, ma non può certo eliminare il fatto che la violazione vi sia stata. La constatazione di questo scarto esistente tra utilità garantite dal diritto sostanziale e utilità che riesce ad assicurare il processo, induce a considerare le tecniche che possano limitare o impedire un simile scarto:
- adozione di procedimenti a cognizione sommaria, con i quali si possono ridurre al minimo i tempi della cognizione preliminare all’esecuzione forzata dell’obbligo derivato dalla restituzione;
- attivazione del processo prima che la violazione sia perpetrata, ma sin dal momento in cui essa è semplicemente minacciata (prevenzione della violazione). In tal caso il provvedimento di condanna avrà come contenuto non l’ordine di adempiere l’obbligo derivato di restituire, ma l’ordine di astenersi dal violare l’obbligo originario di non fare.
Occorre comunque sottolineare che tecniche di tutela preventiva di questo tipo, accanto agli evidenti vantaggi, presentano rischi notevoli, soprattutto in considerazione delle minori garanzie offerte dai processi a cognizione sommario rispetto a quelle offerte dai processi a cognizione piena;
- nella costruzione di opere materiali che comportino una limitazione al diritto di godimento della res: in questo caso la condanna avrà per contenuto l’ordine di adempiere l’obbligo di eliminare le opere limitative del diritto di godimento illegittimamente costruite. In caso di inottemperanza dell’obbligato a questo provvedimento, il titolare del diritto potrà mettere in moto un processo di esecuzione forzata e riottenere, tramite la distruzione da parte di un terzo delle opere compiute, il godimento pieno della res.
Con riferimento a questa seconda ipotesi valgono le stesse identiche osservazioni svolte nel paragrafo precedente in ordine al primo punto;
- nel compimento di atti materiali ad efficacia istantanea che arrechino turbative o molestie, ossia che limitino il godimento del titolare della situazione di vantaggio. Mentre nelle due ipotesi precedenti la violazione dell’obbligo di non fare si era concreta in un atto ad efficacia permanente, nell’ipotesi in esame, al contrario, l’efficacia istantanea dell’atto in cui si è concretata la violazione dell’obbligo di non fare non pone il titolare del diritto nella necessità di rivolgersi all’autorità giudiziaria per riottenere il godimento della res: stante l’efficacia non permanente dell’atto di violazione, infatti, lo scarto tra utilità garantita dal diritto sostanziale e utilità che il processo riesce ad assicurare fa sì che il processo possa dare al titolare del diritto solo utilità equivalenti. In questa ipotesi, quindi, la condanna potrà concretarsi soltanto nell’obbligo di risarcire il danno. Qualora l’obbligato non adempia spontaneamente l’obbligo di pagare, peraltro, si potrà mettere in modo l’esecuzione forzata ex artt. 483 ss.
In un caso del genere, comunque, il bisogno di tutela del titolare della situazione di vantaggio consiste non tanto nel domandare all’autorità giudiziaria l’eliminazione degli effetti della violazione compiuta ed esaurita, ma fondamentalmente nel domandare l’emanazione di provvedimenti giurisdizionali idonei ad impedire che la violazione si ripeta nel futuro (es. misure coercitive).
Considerazioni riassuntive
Dall’esame di questo primo gruppo di ipotesi è possibile trarre le seguenti conseguenze:
- il processo a cognizione piena, se accoppiato unicamente alla successiva esecuzione forzata, è in grado di offrire solo una tutela repressiva della violazione già effettuata;
- una tutela di questo genere presuppone sempre uno scarto tra le utilità garantite dal diritto sostanziale e le utilità che il processo riesce ad assicurare;
- questo scarto:
- può essere limitato notevolmente riducendo i tempi della cognizione attraverso il ricorso ai procedimenti sommari;
- può essere eliminato attraverso forme di tutela che prevengano la violazione stessa;
- l’attuazione del provvedimento di condanna ad astenersi nel futuro dal violare obblighi di non fare può essere garantita solo attraverso la tecnica delle misure coercitive e mai attraverso quella dell’esecuzione forzata;
- l’esecuzione forzata non può mai avere ad oggetto l’attuazione di un obbligo originario di non fare, ma solo l’eliminazione degli effetti causati dalla violazione dell’obbligo originario.