Nelle intenzioni del legislatore dovrebbe essere preferito al processo ordinario di cognizione nelle cause più semplici. L’art. 54 L. 69/’09 prevede che la disciplina di questo rito debba essere estesa a tutti i riti speciali di cognizione previsti al di fuori del codice (anche quando sono provvedimenti in camera di consiglio).

Il disegno di legge Mastella prevedeva che questo procedimento fosse adottabile solo in due casi:

–          Domande di condanna al pagamento di somme di denaro;
–          Domande di condanna alla consegna di beni mobili o rilascio di beni immobili.
Il disegno di legge Alfano lo aveva esteso anche alle domande di pagamento di somme di denaro non liquide.
Queste limitazioni sono venute meno, ora il processo sommario di cognizione può essere in saturato con riferimento a qualsiasi domanda (domande di condanna, domande di mero accertamento e domande costitutive).

Il procedimento sommario di cognizione degli art. 702bis ter e quater c.p.c. ha natura differente dal procedimento sommario di cognizione previsto dall’art. 19 d.lgs. 5/’03 (prevedeva il rito societario, ora abrogato). In quest’ultimo caso si prevedeva che quel procedimento terminasse con un provvedimento inidoneo a dar luogo alla cosa giudicata. Il procedimento sommario di cognizione previsto dall’art. 702bis c.p.c. invece termina con un procedimento idoneo a dar luogo alla cosa giudicata, è perfettamente equiparato ad una sentenza pur avendo la forma dell’ordinanza:

–          Pronuncia sulle spese;
–          Ha l’autorità di cosa giudicata;
–          Ha efficacia esecutiva;
–          È titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale;
–          È titolo per la trascrizione della sentenza nell’ipotesi di certe sentenze costitutive.
Il legislatore ha previsto la forma dell’ordinanza perché vorrebbe che fosse un mezzo rapido per arrivare alla pronuncia di merito con riferimento a certe controversie (le ordinanze devono essere succintamente motivate. Succintamente motivata però non significa lacunosa).

Il procedimento sommario di cognizione è un procedimento speciale, nel senso che concorre alternativamente con il processo ordinario di cognizione. La scelta spetta all’attore, e il giudice ha un potere di disporre il mutamento del rito quando ritiene che sia necessaria un’istruzione non sommaria. Il convenuto subisce queste decisioni.

È un procedimento che concorre alternativamente con il processo ordinario di cognizione. Qui si fa riferimento al procedimento ordinario di cognizione con rito comune (quello disciplinato dagli art. 163 ss. c.p.c.). Questo lo si deduce dall’art. 702ter c.p.c., il cui terzo comma prevede il passaggio al processo ordinario di cognizione: si prevede che se il giudice ritiene che se sia necessaria un’istruzione non sommaria fissa direttamente l’udienza ex art. 183 c.p.c. Inoltre si prevede che in questo caso trovino applicazioni le disposizioni del libro II (gli art. 163 ss. c.p.c.).

Alcuni ritengono che questo procedimento sommario sia alternativo anche al rito del lavoro.

L’art. 702bis c.p.c. prevede che sia possibile ricorrere al procedimento sommario di cognizione solo per le cause di competenza del tribunale in composizione monocratica.

Questo procedimento si propone con un ricorso che deve tutti avere tutti i requisiti previsti dall’art. 163 c.p.c., e anche l’avvertimento di cui al n. 7) dello stesso articolo (quando un processo inizia con atto di citazione la data della prima udienza è scelta dall’attore, allora si giustifica anche l’invito a costituirsi nel rispetto dei termini previsti dalla legge con l’avvertimento che in caso contrario si incorre nelle decadenze degli art. 167 e 38 c.p.c. Quando un procedimento inizia con ricorso la data dell’udienza non è fissata dal ricorrente bensì dal giudice, ecco perché non deve esserci né l’indicazione della prima udienza né l’invito a costituirsi).

Una volta depositato il ricorso si ha la costituzione del ricorrente. Da quel momento si producono gli effetti sostanziali e processuali della domanda. Il cancelliere forma il fascicolo d’ufficio e lo comunica al presidente del tribunale il quale designa un magistrato, questi poi emana un decreto con cui fissa la data della prima udienza e il termine entro cui il convenuto deve costituirsi (il termine deve essere di almeno 10 giorni prima della prima udienza).

Si prevede anche che debba essere notificato il ricorso ed il decreto, la legge non dice che deve essere il ricorrente a farlo, ma questo è implicito. La notifica deve essere fatta almeno 30 giorni prima del termine fissato per la costituzione del convenuto, quindi il termine a comparire di cui beneficia il convenuto per preparare il proprio atto difensivo è di soli 30 giorni (nel procedimento ordinario di cognizione il termine è di 90 giorni). Questo termine vale anche se il resistente è residente all’estero (nel procedimento ordinario invece se il ricorrente è residente all’estero il termine è di 150 giorni).

La scelta di questo rito è fatta dall’attore, il convenuto non può fare nulla (potrebbero esserci dei problemi di legittimità costituzionale da questo punto di vista).

Il legislatore non prevede alcun termine entro il quale debba essere fissata la prima udienza (nel rito del lavoro il meccanismo è identico). Questo è stato oggetto di critiche poiché si prevede un procedimento sommario di cognizione al fine di accelerare i processi e poi si consente al giudice di fissare la prima udienza quando vuole lui.

L’attore ha l’obbligo di notificare il ricorso e il decreto almeno 30 giorni prima del termine previsto per la costituzione del convenuto.

Il convenuto si costituisce con la comparsa di risposta. Il contenuto di questa ricalca in gran parte il contenuto della comparsa di risposta ex art. 167 c.p.c. Differisce per quanto riguarda la chiamata in causa di un terzo: qui si prevede la chiamata in causa del terzo solo nell’ipotesi in cui il convenuto intenda proporre la domanda di garanzia. Consolo intende che si debba estendere estensivamente questa disposizione come se si riferisse a qualsiasi ipotesi di chiamata in causa del terzo su istanza del terzo (sarebbe un’ipotesi di minus dixit quam voluit da parte del legislatore). È stata criticata questa disposizione poiché vi sono altre ipotesi in cui vi è un oggettivo interesse del convenuto a chiamare in causa un terzo, es. chiamata del terzo vero obbligato: qui si crea un cumulo di domande tra loro incompatibili (o viene accolta una o viene accolta l’altra). In questo caso può avere interesse a chiamare in causa il terzo sia il convenuto che lo stesso attore. Non ammettere la chiamata in causa del terzo significa che l’attore deve agire con un separato processo, ma questo crea il rischio di giudicati tra loro contraddittori. La disposizione non prevede la chiamata in causa del terzo da parte dell’attore nemmeno quando l’interesse alla chiamata in causa nasce dalle difese del convenuto (art. 269 c.p.c.).

Siccome presupposto di questo procedimento è che l’istruzione debba essere sommaria, è chiaro che quando si ammette l’intervento di un terzo tutto si complica. Sarebbe questo il motivo per cui il legislatore non ha previsto la chiamata in causa di qualsiasi terzo.
Ci si chiede se sia possibile l’integrazione di questo procedimento con la disciplina prevista nel procedimento ordinario di cognizione.

L’art. 703ter c.p.c. prevede che il giudice debba fare una serie di controlli:

–          Deve verificare la propria competenza: se ritiene di essere incompetente lo dichiara con ordinanza (si deve ritenere che contro questa sia proponibile regolamento necessario di competenza ex art. 42 c.p.c.);
–          Anche se non si prevede espressamente che il giudice debba verificare l’esistenza delle altre condizioni di trattabilità e decidibilità della causa nel merito, si ritiene che questo controllo debba essere egualmente effettuate. Qualora non sussistano il giudice dovrà definire il procedimento con ordinanza di rigetto in rito. Contro questa sarà possibile esperire appello (art. 702quater c.p.c.);
–          Deve verificare che le cause siano di competenza del tribunale in composizione monocratica: in caso contrario il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con ordinanza non impugnabile.
Lo stesso controllo deve essere fatto con riferimento delle domande riconvenzionali.

Il fatto che un’ordinanza non sia impugnabile ha come conseguenza che non sia nemmeno modificabile o revocabile. In questo caso l’ordinanza non impugnabile è assimilata ad una sentenza, e quando una sentenza è dichiarata non impugnabile non è proponibile l’appello, si potrà solo proporre ricorso per Cassazione ex art. 111.7 Cost. Dovrebbe quindi essere questo il rimedio nei confronti di queste ordinanze non impugnabili. Taluni però ritengono che la domanda sia semplicemente riproponibile, ma quest’opinione non si concilia con la soluzione che è stata data quando una sentenza viene dichiarata non impugnabile.

La regola dell’inammissibilità della domanda riconvenzionale quando essa rientra nella competenza in composizione collegiale è stata molto criticata.
–          Deve verificare che le difese delle parti non richiedano un’istruzione non sommaria.
Quando le difese delle parti richiedono un’istruzione non sommaria allora il giudice fissa l’udienza ex art. 183 c.p.c.
Nel caso in cui la causa relativa alla domanda riconvenzionale richieda un’istruzione non sommaria, il giudice ne dispone la separazione.

La separazione della domanda riconvenzionale non è sempre un bene, non si giustifica il vantaggio costituito dal minor tempo necessario per arrivare alla pronuncia sulla domanda principale rispetto ai possibili svantaggi.
Esempio:       la domanda riconvenzionale può essere compatibile con la domanda proposta dal ricorrente (es. Tizio chiede la condanna al pagamento del prezzo e Caio chiede la condanna alla consegna della cosa. In entrambi i casi le domande si fondano sulla compravendita), ma può anche essere incompatibile (es. Tizio chiede la condanna al pagamento del prezzo, Caio propone domanda di annullamento del contratto per vizio del volere. Il giudice ritiene che le difese svolte da Caio richiedano un’istruzione non sommaria. Qui le domande sono tra loro incompatibili, non è possibile separare le cause poiché la decisione di una dipende dalla decisione dell’altra). In quest’ultimo caso la soluzione proposta dalla dottrina prevede che l’intera causa debba essere trattata col processo ordinario di cognizione, quindi ritiene che non sia possibile separare la domanda riconvenzionale (il giudice dovrebbe fissare, sia per la domanda principale che per la domanda riconvenzionale, l’udienza ex art. 183 c.p.c.). Se non si fa così la conseguenza non è solo il rischio di giudicati tra loro contrastanti, ma anche che si debba applicare la regola della sospensione necessaria del processo (avremmo la causa relativa alla domanda di annullamento del contratto che pende davanti al giudice in un processo ordinario di cognizione, e la causa relativa al pagamento del prezzo che pende davanti al giudice del procedimento sommario di cognizione. L’esito di quest’ultima dipende dalla prima, quindi dovrebbe essere sospeso il processo relativo alla domanda di pagamento del prezzo). Questo è un risultato incongruo con la ratio stessa del processo sommario di cognizione che vuole che sia arrivi ad una rapida soluzione della causa. Se venisse separata la domanda riconvenzionale si avrebbero due cause che pendono davanti a due giudici per i quali sono previsti due riti diversi. L’art. 40 c.p.c. prevede però che la diversità di rito non sia più un ostacolo alla riunione delle cause, quindi la separazione dovrebbe poi portare ad una riunione.

Ma è anche possibile che vi sia un cumulo soggettivo di cause, oltre che un cumulo oggettivo (il legislatore ha previsto solo quest’ultima ipotesi):
–               In un’ipotesi di cumulo oggettivo è incongruo arrivare alla separazione delle cause, il giudice dovrebbe fissare direttamente l’udienza ex art. 183 c.p.c. (si avrebbero gli stessi problemi enunciati sopra per il caso di domanda principale e domanda riconvenzionale tra loro incompatibili);
–               Nell’ipotesi di cumulo soggettivo (es. Tizio vende un bene a Caio. Sempronio afferma di essere lui il proprietario. Caio agisce direttamente verso Sempronio e con lo stesso atto introduttivo chiama in garanzia Tizio), se vi è la necessità di un’istruzione non sommaria sarebbe opportuno non separare la causa rispetto alla quale è necessaria l’istruzione non sommaria, ma disporre direttamente l’udienza ex art. 183 c.p.c.

La costituzione dell’attore, con il richiamo per quanto riguarda il contenuto del ricorso a tutti i requisiti dell’art. 163 c.p.c., e il contenuto della comparsa di risposta da parte del resistente, che è determinato attraverso un recepimento del contenuto della comparsa di risposta stabilita dall’art. 167 c.p.c., si spiega proprio in funzione del passaggio del rito.
Non si hanno preclusioni istruttorie: è possibile chiedere l’ammissione di mezzi di prova per tutto il procedimento sommario di cognizione.
Non sono ammesse nuove eccezioni che non siano rilevabili d’ufficio, il convenuto deve dedurle a pena di decadenza. Questo comporta che, anche se non è stabilito espressamente, nemmeno all’attore sia consentito dedurre nuovi fatti costitutivi nel caso di domande autodeterminate.
Potrebbero sorgere problemi in conseguenza del mutamento del rito: es. il convenuto si vede fissare l’udienza ex art. 183 c.p.c.; considerato che quel processo doveva iniziare con rito ordinario di cognizione, il convenuto potrebbe sostenere che lui dovrebbe beneficiare del termine ordinario per preparare le difese (90 giorni), e non del termine previsto per il procedimento sommario di cognizione (30 giorni). Ci sono due soluzioni:

–          O vi è una questione di legittimità costituzionale (il convenuto che aveva diritto ad un termine di 90 giorni per preparare le sue difese si trova a subire delle preclusioni maturate nel procedimento sommario di cognizione);
–          Oppure si deve ritenere che il convenuto possa eccepire di aver beneficiato di un termine a comparire inferiore di quello previsto dalla legge (come prevede l’art. 164.3 c.p.c. riguardo la sanatoria della nullità dell’atto di citazione). In questo caso allora il giudice dovrebbe fissare una nuova udienza ex art. 183 c.p.c. nel rispetto dei termini a comparire.
Si ritiene applicabile l’art. 164.3 c.p.c. in quanto questo riguarda sì l’atto di citazione, ma il ricorso ha in sostanza lo stesso contenuto dell’atto di citazione.
Se si ritiene applicabile la disciplina prevista dall’art. 164 c.p.c. si dovrebbe ritenere applicabile anche quella sanatoria prevista dall’art. 167.2 c.p.c. (quando la domanda riconvenzionale è omessa o assolutamente incerta nel titolo o nell’oggetto, vedi p. 130).

Bisogna stabilire se la cognizione sia veramente sommaria oppure no. Vi sono state due opinioni:

–          Alcuni hanno ritenuto che fosse sufficiente un giudizio probabilistico sulla fondatezza della domanda, e che la cognizione fosse effettivamente sommaria (la decisione poteva basarsi su un giudizio di verosimiglianza fondato su prove precostituite o facilmente assumibili);
–          Altri ritengono che la cognizione non è affatto sommaria, è piena. È l’opinione preferibile.
Nel rito societario lì sì era prevista una cognizione sommaria (nel parlava espressamente il terzo comma dell’art. 19 d.lgs. 5/’03). Quel procedimento terminava con un provvedimento che non aveva autorità di cosa giudicata. Nel nostro caso invece il provvedimento ha autorità di cosa giudicata (art. 702quater c.p.c.).

La formula dell’art. 702ter c.p.c. quinto comma ricorda molto la formula dell’art. 669sexies c.p.c., ma non è uguale:
Il quinto comma dell’art. 702ter c.p.c. afferma che “se non provvede ai sensi dei commi precedenti (se non emana quelle ordinanze di inammissibilità o di separazione di cause), alla prima udienza il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto e provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto delle domande”.

L’art. 669sexies c.p.c. afferma che “il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto, e provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto”.

Quel requisito dell’indispensabilità si concilia perfettamente con un’istruzione sommaria, tanto più che i presupposti del provvedimento richiesto sono il fumus boni iuris  e il periculum in mora (il fumus è la probabile esistenza del diritto, il giudice non deve accertarla).

Invece gli atti di istruzione previsti dall’art. 702ter c.p.c. sono quelli rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto (il legislatore prescrive che debba procedersi all’istruzione di tutte le questioni rilevanti). Gli atti di istruzione sono rilevanti quando si riferiscono ai fatti rilevanti per la decisione della causa.
Il legislatore vuole estendere questo procedimento sommario di cognizione a tutti i riti speciali previsti, e non è vero che voglia una cognizione sommaria in relazione a questi riti speciali.
Per quale ragione a fronte di un provvedimento che termina con l’autorità di cosa giudicata si deve pervenire ad un’interpretazione che autorizza una cognizione sommaria?
Il titolo del capo III bis poi afferma “procedimento sommario di cognizione” e non “procedimento a cognizione sommaria”, è il procedimento che è sommario e non la cognizione.
Deve concludersi nel senso della pienezza della cognizione, quindi l’istruzione sarà non sommaria in relazione al numero e all’entità delle questioni di fatto e di diritto controverse tra le parti.

Procedimento sommario vuol dire allora che tutte le fasi successive alla costituzione delle parti possono essere semplificate, questo significa che:
–          Il giudice non ha l’obbligo di concedere le memorie previste dall’art. 183.6 c.p.c.;
–          Il giudice non ha l’obbligo di concedere lo scambio degli atti conclusivi (comparsa di risposta e memoria di replica ex art. 190 c.p.c.);
–          Il giudice non ha l’obbligo di fissare l’udienza di precisazione delle conclusioni (nella realtà lo farà sempre in quanto gli serve per graduare il suo impegno di lavoro futuro).
Quello che è fondamentale è il rispetto del contraddittorio (nell’art. 702ter si prevede “omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio”).

Non ci sono preclusioni istruttorie, ma in compenso il giudice ha la possibilità di definire la causa in qualsiasi momento, già alla prima udienza potrebbe rimettere la causa a decisione (nel processo ordinario di cognizione, se le parti chiedono l’assegnazione dei termini per le memorie ex art. 183.6 c.p.c., il giudice gliele deve concedere).
Questione controversa è la possibilità di pronunce non definitive nel rito sommario (sarebbero ordinanze non definitive): probabilmente potrebbero esservi su alcune delle domande cumulate.

Il fatto che sia un processo a cognizione piena fa si che, nel caso di un provvedimento cautelare ante causam in cui vi sia l’onere o la volontà di una parte di instaurare il processo a cognizione piena, si possa ritenere soddisfatto quest’iniziativa anche instaurando il procedimento sommario di cognizione.
Si pone poi un problema con riferimento all’integrazione della disciplina attraverso il ricorso alle norme previste per il processo ordinario di cognizione. Si può ritenere applicabile:
–          L’art. 164 c.p.c. (disciplina la nullità dell’atto di citazione con la possibilità della sanatoria);
–          L’art. 182 c.p.c. (prevede la possibilità della concessione di un termine ad es. per ottenere il provvedimento richiesto quando manchi la capacità della parte);
–          La disciplina dell’interruzione del processo;
–          La disciplina dell’estinzione del processo;
–          La disciplina della sospensione del processo.

L’ordinanza con cui termina questo procedimento è appellabile nel termine di 30 giorni. Il termine decorre dalla notificazione fatta dalla parte, ma anche dalla comunicazione dell’ordinanza fatta dal cancelliere.
C’è chi ritiene che non si applichi il termine lungo per impugnare (6 mesi), ma non c’è ragione per non applicarlo: nelle ipotesi in cui non si prevede alla notificazione e il cancelliere non comunichi, si deve ritenere che dopo 6 mesi dalla pubblicazione sia scaduto il termine.

C’è una particolare disciplina dello ius novorum:
–          Si tace completamente sulle domande ed eccezioni nuove. A questo proposito si ritiene che debba applicarsi l’art. 355 c.p.c. primo e secondo comma;
–          Si prevede lo ius novorum per quanto riguarda i mezzi istruttori. Qui si ammettono i mezzi di prova quando il collegio li ritiene rilevanti per la decisione della causa, ovvero la parte dimostri di non averli potuti proporre per causa ad essa non imputabile. Mentre nell’art. 345.3 c.p.c. il presupposto perché nuovi mezzi di prova vengano ammessi dal collegio è che essi vengano ritenuti “indispensabili”, qui si parla di solo di “rilevanti”. Come l’indispensabilità non può essere presa alla lettera (vedi p. 215), anche questo “rilevanti” non può essere inteso alla lettera, perché presupposto generale per ammettere un mezzo di prova è che esso sia “ammissibile e rilevante”, quindi sempre i mezzi di prova sono rilevanti. Si conviene che il legislatore abbia voluto introdurre un requisito meno rigoroso dell’indispensabilità cui fa riferimento il terzo comma dell’art. 345 c.p.c. Quindi si potrebbero ammettere quei mezzi istruttori relativi a fatti che sono rilevanti anche in concorso ad altri fatti (che consentono una valutazione difforme in relazione ad altri fatti). Altra interpretazione fa riferimento all’ipotesi in cui in primo grado la parte non abbia fatto in tempo a proporre questi mezzi istruttori perché il giudice ha rimesso la causa a decisione con largo anticipo rispetto a quanto era prevedibile, allora ecco che potrebbe riproporli in appello;
–          È prevista la possibilità dell’assunzione delegata del mezzo di prova ad uno dei componenti del collegio. Vale sempre il principio della collegialità della trattazione ex art. 350 c.p.c., quindi la deroga a questa regola vale solo per l’assunzione del mezzo di prova ma non per la decisione relativa all’ammissione del mezzo di prova (questa deve essere frutto di un provvedimento collegiale).
Se il legislatore avesse voluto puntare su questo rito sommario di cognizione avrebbe dovuto prevedere il mutamento del rito non solo dal rito sommario a quello ordinario, ma anche viceversa (la possibilità per il giudice adito con le forme del procedimento ordinario di cognizione di disporre il passaggio al rito sommario).

 

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