Le misure coercitive consistono in un inasprimento di sanzione contro l’obbligato, ossia nella minaccia di una lesione del suo interesse più grave di quella che gli cagiona l’adempimento, allo scopo di influire sulla sua volontà per indurlo ad adempiere spontaneamente all’obbligo cui è tenuto. Tali misure coercitive si distinguono i tre grandi categorie:
- modello francese (astreintes): il giudice, nel momento in cui pronuncia una condanna all’adempimento di obblighi di fare o di non fare, è autorizzato a determinare la somma di denaro che l’obbligato deve pagare al creditore per ogni giorno di ritardo nell’attuazione del provvedimento giurisdizionale. La somma di denaro, peraltro, non è commisurata ai danni eventualmente subiti dal creditore, ma all’entità ritenuta capace di eliminare l’interesse dell’obbligato all’inadempimento.
Questo sistema era previsto in via generale nel progetto Carnelutti del 1926 per assicurare l’adempimento degli obblighi di fare e di non fare. Dal momento che tale suggerimento non venne recepito dal codice del 1942, tuttavia, esso deve essere considerato inammissibile. Occorre comunque citare due applicazioni, costituite dagli artt. 63 e 66 sui brevetti per marchi di impresa e dagli artt. 83 e 86 sui brevetti per invenzioni industriali;
- modello tedesco: tale modello, come quello delle astreintes, rimanda a misure utilizzate per l’adempimento di obblighi di fare e di non fare. Le differenze rispetto al precedente sono dovute esclusivamente al segno marcatamente pubblicistico delle misure coercitive:
- viene prevista una sanzione limitativa della libertà personale (es. arresto);
- le pene pecuniarie sono devolute allo Stato e non al privato-creditore.
Le tre ipotesi in cui si fa uso di tale modello sono quelle relative all’art. 18 della l. n. 300 del 1970 (pagamento al Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all’importo della retribuzione dovuta), all’art. 28 della stessa legge (arresto o ammenda) e all’art. 44 del d.lgs. n. 286 del 1998;
- modello anglosassone (contempt of court o disprezzo della corte): l’inasprimento della sanzione consiste nel consentire al creditore, in caso di mancato adempimento, di fare istanza allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza, allo scopo di far dichiarare l’inadempiente colpevole di contempt e di farlo condannare all’arresto e/o al pagamento di una multa di cui normalmente sarà beneficiario il creditore.
Tale modello, strumento assai efficace per l’adempimento degli obblighi infungibili del convenuto, utilizza la predisposizione in via generale di un reato avente per oggetto ogni atto di disobbedienza ai provvedimenti del giudice o di disprezzo dell’autorità giudiziaria.
Dinanzi al problema pratico di dare attuazione ad obblighi non suscettibili di essere attuati tramite la tecnica dell’esecuzione forzata, Vassalli nel 1938 tentò di dimostrare che il codice penale aveva introdotto nell’ordinamento l’art. 388 co. 1 proprio per garantire l’attuazione piena della tutela di condanna civile. Tale articolo, sotto la rubrica mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice , dispone la pena della reclusione o della multa nei confronti di chiunque, per sottrarsi all’adempimento degli obblighi civili nascenti da una sentenza di condanna o dei quali è in corso l’accertamento dinanzi all’autorità giudiziaria, compie, sui propri o sugli altrui beni, atti simulati o fraudolenti, qualora non ottemperi all’ingiunzione di eseguire la sentenza . A detta dell’autore, il bene protetto dall’art. 388 sarebbe l’autorità della decisione giudiziaria e non l’efficacia esecutiva in senso stretto della sentenza, interpretazione questa che avrebbe il merito non irrilevante di garantire l’attuazione dei provvedimenti civili di condanna, siano o non siano essi attuabili tramite la tecnica dell’esecuzione forzata. Il legislatore, tuttavia, riduce in maniera decisiva l’ambito applicativo dell’articolo: la norma, infatti, non punisce il semplice inadempimento dell’obbligo riconosciuto da un provvedimento giurisdizionale, richiedendo anche il compimento di atti fraudolenti.
A prescindere dalla disamina appena effettuata, comunque, l’art. 388 rappresenta de iure condito l’unico modo per non lasciare sguarniti di tutela effettiva una serie numerosa di diritti per la soddisfazione dei quali il legislatore ha esplicitamente disposto che il giudice debba ordinare l’adempimento di obblighi non suscettibili di attuazione tramite l’esecuzione forzata.