L’azione di cognizione appare come diritto autonomo dal diritto sostanziale. Rispetto al diritto sostanziale, non ha come suo contenuto, una prestazione del titolare passivo dello stesso diritto sostanziale, bensì la prestazione di un altro soggetto autonomo: l’organo giurisdizionale (che nel processo opera come organo statale). L’azione appare allora come diritto verso il giudice (in quanto organo statale) ad un provvedimento sul merito. Ci si chiede però in che rapporto stanno l’uno con l’altra. Questo problema è chiamato dell’”astrattezza dell’azione” e vedeva contrapposti i sostenitori dell’azione in senso concreto (che configuravano l’azione come condizionata dall’esistenza del diritto sostanziale e quindi come diritto ad un provvedimento favorevole) e sostenitori dell’azione in senso astratto (secondo cui per l’esistenza dell’azione si deve prescindere o astrarre dall’esistenza del diritto sostanziale). Secondo l’autore il punto di vista è un altro. L’azione, se si vuol continuare a parlare in termini di astrattezza, è un diritto astratto, ma solo parzialmente astratto, perchè postula un aggancio al diritto sostanziale: questo aggancio è l’affermazione (nel senso che l’esistenza dell’azione è condizionata dal fatto che il diritto sostanziale sia affermato nella domanda).