L’istituzione della Corte costituzionale limita in un altro senso i poteri dei giudici, ordinari o speciali: se in un giudizio sorge un dubbio sulla legittimità costituzionale di una norma di legge che dovrebbe trovare applicazione nel giudizio stesso (ciò che rende rilevante la questione intorno alla validità della norma) e se la questione non è manifestamente infondata il giudice deve sospendere il processo e rimettere la decisione sulla questione alla Corte costituzionale (134 Cost.; 1 l. cost. 1/1948).
Il problema della costituzionalità delle leggi sorge come una conseguenza del carattere rigido della Costituzione (138 Cost.). Il controllo della costituzionalità è dunque compiuto dalla Corte in via incidentale, sostituendosi per la sola questione di costituzionalità al giudice a quo, al quale restituisce poi gli atti della causa dopo la decisione di sua competenza.
Quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma, questa cessa di avere efficacia per tutti e a tutti gli effetti dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.
È chiaro dunque il limite posto ai poteri del giudice: se la questione di costituzionalità è sollevata dalle parti o rilevata da lui stesso, spetta a lui dichiarare la rilevanza della questione nella causa e la sua non manifesta infondatezza, ma non giudicarla, essendo questo giudizio riservato alla Corte costituzionale.