Quando si parla di ius novorum in appello invece si fa sempre riferimento alla cognizione del giudice d’appello, ma ci si pone il problema se questi possa conoscere e decidere di questioni ulteriori rispetto a quelle conosciute dal giudice di primo grado.
Il primo comma dell’art. 345 c.p.c. riguarda le domande nuove, il secondo le eccezioni nuove, il terzo comma i nuovi mezzi di prova:
– Il primo comma prevede che non sono ammesse domande nuove, se proposte sono dichiarate inammissibili (potrà essere proposta in un nuovo giudizio che inizia autonomamente). Vi è però una serie di eccezioni:
Frutti, accessori e interessi maturati dopo la sentenza;
Risarcimento del danno sofferto dopo la sentenza.
La ragione di quest’eccezione sta nel fatto che queste sono una sorta di sviluppo ulteriore dei diritti fatti valere in primo grado.
Altra deroga è prevista dall’art. 344 c.p.c. che prevede l’istituto dell’intervento in appello: sono legittimati ad intervenire in appello coloro che sono legittimati a proporre opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. (senza distinguere fra ordinaria e revocatoria). Si dice che l’intervento in appello non è altro che un’opposizione di terzo anticipata.
Esempio: fra i legittimati all’opposizione di terzo ordinaria vi è colui che è legittimato a fare intervento principale in primo grado (es. intervento del terzo pretendente). Se il terzo non ha fatto intervento principale sarebbe legittimato a proporre opposizione di terzo ordinaria, ma il legislatore gli consente di fare intervento in appello. Il legislatore ha ritenuto inutile attendere che venga pronunciata la sentenza d’appello per poi consentire a questo soggetto di proporre opposizione di terzo. In appello il terzo potrà far valere il suo diritto per la prima volta (il terzo propone una nuova domanda). Proponendo una domanda nuova è chiaro che gli si deve consentire di allegare fatti e dedurre mezzi di prova, ma allora analogo potere lo si deve riconoscere anche alle parti per difendersi (si svolge una nuova istruzione con riferimento alla domanda proposta dall’interveniente, non si riaprono i termini di preclusione con riferimento alle domande proposte in primo grado). È una domanda sui cui si svolge un solo grado di giurisdizione di cognizione, quindi alcuni hanno detto che così facendo le altre parti sono costrette a non avere un secondo grado di cognizione di merito. Questa stessa situazione identica si verificherebbe anche nell’ipotesi di opposizione ordinaria di terzo (questa si propone davanti al giudice che ha proposto la sentenza opposta, nel nostro caso sarà il giudice d’appello), per cui non si creano problemi. L’opponente non è privo di mezzi di tutela, se anche non fa intervento potrebbe instaurare un autonomo processo in primo grado.
C’è un problema di emendatio mutatio libelli (cambiare il titolo dell’accusa), è vietata la domanda nuova e quindi anche il mutamento della domanda. È invece consentita la modifica della domanda:
È possibile qualificare diversamente la domanda. La qualificazione non deve però implicare il rilievo di nuovi fatti (la controparte non li può dedurre in giudizio a causa delle preclusioni), perché magari diventano proponibili eccezioni diverse ma non è possibile allegare il fatto su cui l’eccezione si fonda;
È possibile ridurre il petitum mediato (es. chiedevo 100 ed ora chiedo 50);
È possibile ridurre il numero delle cause petendi (es. avevo chiesto l’accertamento sulla base di due titoli, modifico la domanda e chiedo l’accertamento in appello sulla base solo di un titolo);
Si è posto il problema se sia possibile la riduzione del petitum immediato (es. avevo chiesto la pronuncia di una sentenza di condanna con riguardo ad un diritto di credito, muto la domanda e chiedo la pronuncia di una sentenza di accertamento). Generalmente si da risposta negativa;
Non è possibile modificare la causa petendi delle domande autodeterminate (es. prima avevo allegato il diritto di proprietà ed ora allego l’usucapione) perché è vero che è una mera modifica della domanda, ma è anche vero che il secondo comma dell’art. 345 c.p.c. vieta le nuove eccezioni (a meno che non siano rilevabili d’ufficio). Se sono vietate le eccezioni in senso stretto allora sono vietate anche le allegazioni dei fatti che hanno per oggetto eccezioni in senso stretto. Siccome il convenuto non può allegare nuovi fatti allora non si può consentire nemmeno all’attore di allegare fatti nuovi come causa petendi, anche se questo non implicherebbe un mutamento della domanda (si violerebbe il principio di parità delle armi consentendo a uno ciò che non è consentito all’altro);
I fatti sopravvenuti alle preclusioni possono essere sempre allegati (es. se il tempo per l’usucapione matura in corso di causa io posso allegarlo). Questo vale non solo per l’attore ma anche per il convenuto (es. l’adempimento intervenuto in corso d’appello). Il presupposto è che i giudici devono emanare sentenze aderenti alla realtà sostanziale. Non ha senso non consentire l’allegazione del fatto sopravvenuto perché altrimenti bisognerebbe che la parte instaurasse un nuovo processo.
Il giudice dovrà tener conto che la sua decisione viene fondata sul fatto sopravvenuto, quindi le spese del processo andranno a carico della parte che ha allegato il nuovo fatto. Se però la controparte si difende rispetto al fatto nuovo (es. negando che sia intervenuto l’usucapione), allora le spese andranno a carico per intero della parte soccombente.
Altra ragione di superamento delle preclusioni si ha nel caso di ius superveniens (sopravvenienza di una nuova legge che disciplina la fattispecie concreta): in questo caso se la nuova legge rende rilevanti i fatti nuovi, si dovrà consentire alle parti di dedurre nuovi fatti e chiedere l’ammissione di mezzi di prova.
– Il secondo comma vieta le nuove eccezioni in senso stretto (sono ammesse quelle in senso lato). Però un conto è rilevare un’eccezione in senso lato, altro conto è allegare il fatto sui cui si fonda in senso lato. Si tratta di stabilire se avere il potere di allegare le eccezioni in senso lato comporti anche il potere di allegare il fatto su cui l’eccezione in senso lato si fonda. La giurisprudenza è un po’ divisa, seppur orientata in senso favorevole. Ammettere l’allegazione del fatto significa anche porsi il problema se sia ammissibile dedurre le prove del nuovo fatto allegato (qualche sentenza ha ammesso l’allegazione del fatto ma poi non ha ammesso certi mezzi di prova);
– Il terzo comma afferma che in appello non possono essere chiesti nuovi mezzi di prova e non possono prodursi nuovi documenti (quest’ultimo inciso è stato introdotto dalla L. 69/’09). Vi sono però una serie di eccezioni:
Che il collegio non li ritenga indispensabili per la decisione della causa: vi sono state varie opinioni su quando un mezzo di prova sia indispensabile:
Una prima afferma che il mezzo di prova è indispensabile quando la causa è stata decisa sulla base della regola dell’onere della prova (quindi deve avere per oggetto quel fatto per il quale è mancata la prova);
Altra opinione ritiene che il mezzo di prova sia indispensabile quando mira a provare un fatto che è rilevante per la decisione della causa nel merito. Ma la rilevanza sussiste anche in concorso con altri fatti, quindi persino un fatto secondario può essere rilevante, e allora anche il mezzo di prova relativo ad esso sarà indispensabile;
Una terza opinione ritiene che il mezzo di prova sia indispensabile quando ha per oggetto un fatto che è decisivo, un fatto che da solo deve essere determinante per il ribaltamento della decisione (deve essere quindi un fatto principale). Questa è l’opinione preferibile.
Ci si chiede se il collegio possa ammettere, in quanto indispensabili, dei mezzi di prova rispetto ai quali la parte che se ne gioverebbe è incorsa in una decadenza colpevole. Bisogna distingue fra:
Mezzi di prova riservati alla parte (es. prova per testimoni): saranno ammissibili solo quando la parte è incorsa in decadenza non colpevole;
Mezzi di prova che il giudice può disporre d’ufficio (es. ispezione): saranno ammissibili anche quando la parte è incorsa in decadenza colpevole.
In questo modo si evita di operare una rimessione surrettizia in termini della parte incorsa in decadenza colpevole.
Nonostante questa distinzione la giurisprudenza ammette i mezzi di prova indispensabili anche se questi possono giovare alla parte incorsa in decadenza colpevole;
Che la parte non dimostri di non averli potuti proporli per causa a lei non imputabili: si tratterà di dimostrare per quale ragione la parte non aveva potuto chiedere l’ammissione tempestiva dei mezzi di prova;
È sempre ammesso il giuramento decisorio (questo è sempre ammesso anche nel giudizio di rinvio): questa deroga si giustifica in base al fatto che il giuramento decisorio è stato configurato dal legislatore come extrema ratio, come ultimo rimedio possibile per la parte che non riesca a provare un fatto e che voglia evitare che il merito della causa venga deciso sulla base della regola dell’onere della prova (quest’ultimo non è un vero onere ma è una regola di giudizio. Se fosse un vero onere la parte che allega un fatto dovrebbe fornire lei la prova, invece si può giovare anche della prova fornita dall’altra parte. La prova poi può anche essere il risultato dell’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio del giudice. Si vuole fornire al giudice lo strumento per evitare le sentenze di non liquet, vedi p. 85).
Si vieta anche la produzione in appello di nuovi documenti. Prima dell’introduzione del sistema delle preclusioni (ante 1995) non c’era il problema della produzione di nuovi documenti. A seguito dell’introduzione si è detto che è vero che non si possono chiedere nuovi mezzi di prova in appello, però questo divieto riguarda solo le prove costituende. Il problema era stato posto per la prima volta dopo l’introduzione del rito del lavoro nel ’73 (anch’esso ha un sistema di preclusioni), e qui era stato risolto nel senso dell’ammissibilità di nuovi documenti in quanto non richiedevano una nuova istruzione (non facevano perdere tempo). La stessa soluzione si era poi affermata nel processo ordinario di cognizione con rito comune dopo il 1995. Questa soluzione era stata criticata perché si è messo in rilevo come anche la produzione di nuovi documenti può comportare un ritardo (es. la controparte chiede la verificazione della scrittura privata). Nel 2005 sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione con due sentenze che hanno escluso l’ammissibilità di nuovi documenti in appello:
Sentenza N. 8202: si riferisce all’art. 437 c.p.c. che disciplina il giudizio d’appello nel rito del lavoro;
Sentenza N. 8203: si riferisce all’art. 345.3 c.p.c.
Il legislatore del 2009 ha recepito quest’interpretazione della Cassazione.
Quando una parte produce dei documenti li produce nel proprio fascicolo; la controparte può tratte copia. Può accadere che una parte ritiri il fascicolo nel corso del processo e poi risulti vittoriosa in primo grado, se poi non si costituisce nell’appello proposto dal soccombente, l’appellante non potrà produrre quei documenti che si trovavano nel fascicolo della parte vittoriosa (questo perché aveva il potere di copiarli in primo grado).
Remissione della causa al giudice di primo grado
In quest’ipotesi opera come impugnazione rescindente. Non vi è una ratio comune in queste ipotesi (vedi p. 207), l’unica cosa che si può dedurre dall’esame delle ipotesi è che l’erronea valutazione del difetto di giurisdizione e l’erronea dichiarazione di estinzione in primo grado sono assolutamente prive di giustificazione logica: sono entrambe ipotesi in cui il primo grado di giudizio non si è svolto nel merito.
Non si può dire che tutte queste ipotesi dell’art. 353 e 354 c.p.c. tutelano il doppio grado di giurisdizione, perché questo principio storicamente è stato formulato come limite al numero dei gradi di giurisdizione (veniva inteso nel senso di non più di due gradi di giurisdizione di merito), ma oggi è inteso come almeno due gradi di giurisdizione di merito. Nel nostro ordinamento è possibile che uno o entrambi i gradi di giurisdizione si svolgano senza giudizi di merito (sentenza di rigetto in rito in primo grado che viene riformata in appello con una decisione di merito).
Il principio del doppio grado di giurisdizione pertanto va inteso come possibilità di un doppio giudizio di merito, e poiché nel nostro ordinamento vi è la mera possibilità di due gradi di giurisdizione di merito, non ha alcun senso prevedere nel caso di mancato giudizio di merito di primo grado la rimessione della causa al giudice di primo grado. Quindi sicuramente l’ipotesi di erronea dichiarazione di difetto di giurisdizione e di erronea dichiarazione di estinzione sono prive di giustificazione.