I termini sono i periodi di tempo che la legge stabilisce per il valido compimento dei singoli atti del processo. Chiaramente la legge per determinare questi periodi, si è affidata a un criterio di ragionevolezza. Sotto il profilo strutturale, i termini sono acceleratori (esempio: i termini per proporre impugnazioni) ovvero dilatatori (ad esempio il termine cosiddetto a comparire ex 163 bis C.P.C.). Sotto il profilo strutturale, i termini acceleratori sono detti finali e si distinguono anche con riguardo alle conseguenze della loro eventuale inosservanza. In base a questa distinzione (riguardante solo i termini acceleratori), vengono primariamente in rilievo i termini perentori (che sono quelli la cui decorrenza dà automaticamente luogo alla decadenza del potere di compiere l’atto e di cui la legge dice che non possono esser abbreviati/prorogati nemmeno sull’accordo delle parti.) L’art è il 153, a cui la l. 69 ha aggiunto un 2° con cui colloca in questo 1° libro la disciplina della remissione dei termini, disponendo che “la parte che dimostra d’essere incorsa in decadenza per causa ad essa non imputabile può chieder al giudice di esser rimessa in termine. Il giudice provvede ex 294 2°”. Abbiamo poi, contrapposti ai termini perentori, i termini ordinatori: essi sono quelli la cui inosservanza non produce decadenza dal potere di compiere l’atto se non a seguito di una valutazione discrezionale del giudice. Per essi il 154 prevede la possibilità di abbreviazione/proroga da parte del giudice, la quale può esser rinnovata in presenza di motivi molto gravi. L’idea della legge è che sono ordinatori i termini non espressamente qualificati come perentori. Riguardo al computo dei termini: se si tratta di mesi o anni, si segue il calendario comune ex 155 2° . se si tratta invece di termini a giorni, si computa il dies ad quem. Se il giorno di scadenza è festivo (o se è sabato), la scadenza è di diritto prorogata al primo giorno seguente non festivo. Un corollario generale ex art 1 l. 742/1969 prevede che i termini processuali e di proposizione delle azioni sono sospesi di diritto dal 1° agosto al 15 settembre di ogni anno, escluse le cause in materie alimentario, i procedimenti cautelari, di convalida di sfratto, opposizioni all’esecuzione, dichiarazione/revoca fallimenti, cause di lavoro e previdenziali. Come accennato, la conseguenza del mancato compimento dell’atto nel termine finale che per esso prevede la legge conduce alla decadenza dal potere di compiere quell’atto (o diritto o facoltà). Essa si verifica autonomamente (in caso di termine perentorio) o con previa valutazione del giudice (in caso di termine ordinatorio), ma va comunque rilevata d’ufficio. Talora la legge prevede decadenza anche se non sia stata osservata la preordinata sequenza degli atti:
a) quando la legge dispone che un atto debba compiersi in concomitanza o comunque non oltre il compimento di un certo atto, come nel caso del 167, per cui la domanda riconvenzionale va compiuta con comparsa di risposta,
b) nell’ambito dell’iter processuale (cosiddetta preclusione), di solito definita come “perdita, estinzione o consumazione di una facoltà processuale”. La decadenza è praticamente irreversibile: esiste, nel nostro ordinamento, per pochissimi casi la “restituzione” (o remissione in termini).