Nella disciplina legale del processo due sono i profili che richiedono particolare rilievo: la relazione esistente tra i suoi atti e quella che si stabilisce tra i suoi soggetti.
Dal primo punto di vista, va rilevato che gli atti di un processo sono collegati tra loro come elementi di un tutto, come le parti di un’unità che si svolge nel tempo. Il principio di questo collegamento è dato dall’identità dello scopo formale (l’atto finale del processo, la sentenza), al cui raggiungimento ciascun atto porta il suo contributo, sebbene i soggetti che pongono in essere i vari atti possano avere ed abbiano di solito interessi e finalità personali diversi ed in parte contraddittori.
L’insieme degli atti, nella loro successione ed unità formale, prende il nome tecnico di “procedimento”.
Dal secondo punto di vista, va rilevato che la pendenza del processo determina l’esistenza tra i suoi soggetti di tutta una serie di posizioni e di relazioni reciproche, le quali sono giuridicamente regolate e formano nel loro insieme un rapporto giuridico, il rapporto giuridico processuale.
Esso si impernia sulla potestà dell’organo giudiziario di provvedere nei confronti delle parti; questa potestà è bensì conferita all’organo direttamente dalla legge come suo compito istituzionale, ma diventa effettiva e può esercitarsi in concreto soltanto in seguito ad una domanda giudiziale che gli venga proposta. Da questo momento sorge il rapporto processuale e perciò l’organo potrà esercitare in concreto la giurisdizione e correlativamente le parti saranno assoggettate agli effetti del suo esercizio; ma appunto perciò il giudice non può provvedére oltre i limiti della domanda e nei confronti di persone diverse dalle parti (112: Corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato).
Lo svolgimento del processo dipende poi in grande misura dall’iniziativa delle parti: sono diritti soggettivi delle parti i poteri che la legge loro riconosce di provocare l’attività del giudice e di determinarla a svolgersi in una od altra direzione. Questi diritti soggettivi sono astratti, hanno cioè per oggetto l’attività del giudice, non il risultato favorevole o sfavorevole di quest’attività, che dipenderà invece dalla convinzione del giudice sulla fondatezza od infondatezza delle ragioni dell’una e dell’altra parte.
Il iudicium va distinto dalla res in iudicium deducta: così è posta la base per intendere l’autonomia del processo nei confronti della situazione giuridica litigiosa.
Il rapporto processuale ha i suoi requisiti di validità, che si chiamano “presupposti processuali”; la loro mancanza produce invalidità del processo e (se al difetto non si pone riparo) l’impossibilità per il giudice di entrare nell’esame del merito della causa: il giudice in tal caso dovrà dichiarare con sentenza di non poter giudicare la causa, assolvendo il convenuto dall’osservanza del giudizio.
Sono presupposti processuali la capacità specifica (competenza) del giudice; la capacità delle parti; l’assenza di impedimenti derivanti dalla litispendenza (quando la stessa azione è già stata proposta in altro processo) o da compromesso (quando le parti si sono accordate per far decidere la controversia da arbitri).