Nel codice del 1865 si parlava di “perizia”, questo configurava la perizia tra i mezzi di prova. Il codice del ’42 lo colloca nell’ambito dell’istruzione probatoria, ma all’inizio e non tra i mezzi di prova. Quindi è un mezzo istruttorio, ma dal punto di vista sistematico non è un mezzo di prova.
Il consulente tecnico d’ufficio è considerato come un ausiliario del giudice (è una longa manus del giudice istruttore).
Le richieste di CTU sono sollecitazione di un potere istruttorio d’ufficio.
La consulenza tecnica è un mezzo di integrazione delle conoscenze del giudice in materie tecniche. L’ambito di applicazione può essere quindi il più vario.
La consulenza tecnica può essere disposta anche riguardo le norme di diritto internazionale privato e agli usi (è una deroga al brocardo iura novit curia).
La regola generale prevede che non si possa chiedere una consulenza tecnica per ricercare le prove (cosiddett consulenza tecnica a carattere esplorativo).
In certi ambiti la consulenza tecnica è anche mezzo di prova, o addirittura è l’unico mezzo di prova possibile (normalmente dovrebbe essere un mezzo d’integrazione delle conoscenze del giudice). Questo quando le consulente tecniche sono l’unico mezzo per acquisire le prove in determinate materie particolarmente tecniche, in questo casi serve anche per accertare i fatti.
Si distingue fra:
– Consulenza tecnica deducente: quando la CTU è un mezzo d’integrazione delle conoscenze del giudice;
– Consulenza tecnica percipiente: quando la CTU è un mezzo di prova (es. prove ematologiche).
Il confine fra queste due categorie non è tracciabile con precisione, questo perché il presupposto per predisporre la CTU è sempre la mancanza di conoscenze tecniche del giudice. Ma se questo è il presupposto, come si fa a dire che la consulenza tecnica è un mero mezzo d’integrazione? In concreto spesso attraverso la CTU si forma la prova.
In dottrina sono stati elaborati del limiti ai poteri del CTU:
– Non può dedurre fatti costitutivi del diritto (tutela della domanda: deve essere la parte a determinare l’oggetto del processo, vedi p. 78);
– Non può cercare e fornire mezzi di prova (quando però la CTU è percipiente essa è addirittura l’unico mezzo di prova possibile);
– Deve necessariamente restare nei limiti del quesito (questo è la questione formulata dal giudice che viene chiesta di risolvere al consulente tecnico);
– Deve assicurare il contraddittorio fra le parti.
Vi sono poi delle interpretazioni giurisprudenziali che vanificano quasi tutti i limiti disposti (rimane fermo il limite che il CTU non può dedurre fatti costitutivi del diritto):
– Divieto della ricerca della prova: attraverso la CTU molto spesso si forma la prova in quanto è difficile distinguere fra CTU deducenti e CTU percipienti;
– Quesito: se il CTU va al di là di questi limiti ed acquisisce certi risultati, la giurisprudenza ritiene che sia lecito utilizzarli quando questi attengano in sostanza all’oggetto della controversia;
– Contraddittorio tra le parti: vi è un orientamento che configura tutte le nullità che avvengono durante lo svolgimento della consulenza tecnica come relative (se la parte che ha interesse ad eccepire la nullità non la eccepisce, quella nullità si sana). Altro orientamento ritiene addirittura che se il giudice accogli i risultati della CTU può motivare semplicemente rinviando alla consulenza tecnica (solo si discosta dai risultati della CTU è tenuto ad una motivazione dettagliata e precisa. Quasi mai il giudice si discosta dai risultati della CTU).
La CTU è predisposta dal giudice d’ufficio, l’istanza non è un presupposto per concederla e la sua mancanza non è un presupposto per non disporla. C’è una discrezionalità del giudice. Quando però la CTU è percipiente, non può il giudice rifiutarsi di disporla appellandosi al suo potere discrezionale, in quanto è l’unico mezzo di prova La mancata disposizione delle CTU percipiente potrebbe giustificarsi soltanto se altri mezzi di prova consentono al giudice di formulare un giudizio certo (è un contraddizione però perché se è percipiente non ci sono altri mezzi di prova).
All’attività del CTU possono essere presenti il giudice (secondo alcuni dovrebbe essere necessariamente presente), le parti e i loro difensori, i consulenti tecnici delle parti. Nella pratica i consulenti tecnici delle parti sono soli con il CTU in assenza dei difensori: questo fa sì che durante le attività peritali succeda di tutto e non venga affatto assicurato il contraddittorio.
Il giudice istruttore, oltre a formulare il quesito, può dare al CTU il potere di effettuare delle indagini (art. 62 e 194 c.p.c.) che dovrebbero consistere nella richiesta di chiarimenti alle parti e nell’assunzione di informazioni presso terzi. In concreto ha luogo una vera e propria istruttoria davanti al consulente, ed in più avviene non rispettando il contraddittorio (es. vengono prodotti documenti oltre il termine delle preclusioni, le parti chiamano terzi a rendere dichiarazioni). Il consulente poi non è un esperto di diritto.
È il giudice che fissa la CTU molto spesso la fissa al termine delle risultanze istruttore (dopo aver assunto gli altri mezzi di prova), quindi dopo che sono scattate tutte le preclusioni. È quel giudice che formula il quesito.
Prima della riforma del 2009 si disponeva la CTU, si nominava il perito e all’udienza successiva veniva formulato il quesito ed il CTU accettava l’incarico. Adesso si prescrive che già nel momento in cui si dispone il CTU si deve formulare il quesito, di modo che all’udienza successiva il CTU possa prestare giuramento. Ciononostante nulla vieta che all’udienza successiva vengano modificati o integrati i quesiti.
Nell’attribuzione dell’incarico il giudice fissava un termine entro il quale il CTU doveva terminare le sue attività. Questo termine spesso non veniva rispettato ed il CTU chiedeva una proroga. Poi il giudice doveva anche stabilire un termine entro il quale il CTU dovesse depositare la relazione. In seguito le parti potevano depositare le proprie osservazioni. Il giudice poteva disporre che il CTU rispondesse ai quesiti delle parti, ma così facendo si svolgevano più udienze. Per ovviare a questo si erano instaurate delle prassi che prevedevano un primo termine entro il quale il perito elaborasse una bozza di perizia, poi doveva comunicarla alle parti che potevano fare le proprie osservazioni, infine il CTU formulava la propria relazione peritale finale in cui teneva conto anche delle osservazioni delle parti.
Con la riforma si prevede che il giudice debba fissare:
– Un termine entro il quale il CTU elabori la propria relazione e la consegni ai difensori delle parti;
– Un termine entro il quale i difensori delle parti formulino le proprie osservazioni;
– Un termine ultimo entro il quale il CTU deve depositare la relazione, osservazioni delle parti e una sintetica valutazione delle stesse.
All’udienza successiva poi i difensori delle parti possono formulare delle richieste chiedendo ad es. al giudice che chiami il CTU a rendere chiarimenti in udienza. Il giudice può chiedere anche un’integrazione della perizia.
Se la risposta del CTU ai quesiti delle parti è insoddisfacente, nulla vieta ad esse di formulare i propri rilievi all’udienza successiva.